Tra le tante chiese di Roma, incastonate ed integrate in ogni angolo di una città piena di storia, alcune hanno avuto meno fortuna di altre in termini di notorietà, sebbene conservino a volte importanti ed interessantissime testimonianze del passato. È sicuramente questo il caso della chiesa di Santo Stefano Rotondo, una delle più grandi e antiche chiese a pianta circolare d’Italia, situata nell’omonima via al Celio, a due passi dal Colosseo e dal centro nevralgico della vita romana.
Per quale motivo questa chiesa merita di essere ricordata? Beh, il segreto sta nel suo contenuto, il quale la rende quasi certamente una delle chiese più macabre da visitare a Roma e non solo. Ma andiamo con ordine.
Se il termine rotondo si riferisce ovviamente alla sua struttura architettonica, molto meno ovvio è il riferimento a Santo Stefano: si tratta infatti di santo Stefano I d’Ungheria (969-1038), primo re d’Ungheria e fondatore della Chiesa e dello Stato ungheresi. Proprio per questo, Santo Stefano Rotondo è anche la Chiesa nazionale degli Ungheresi.
Come accennato, l’edificio ha una pianta circolare risalente con molta probabilità al V secolo, quando il Pontefice San Simplicio consacrò sul monte Celio una basilica dedicata al protomartire Santo Stefano. Originariamente la sua forma era molto più vasta dell’attuale, con tre anelli concentrici, intersecati da quattro navate, a formare una croce greca.
Ma una lunga serie di restauri e trasformazioni operate da vari papi nel corso dei secoli, ne hanno modificato irrimediabilmente l’aspetto; tra essi va ricordato papa Teodoro I che nel VII secolo vi fece trasportare i corpi dei martiri Primo e Feliciano, dando loro collocazione sotto l’altare della cappelletta dove si trovano ancora oggi.
Papa Niccolò V, nel XV secolo, trasformò totalmente la chiesa, restringendone il perimetro fino a renderla così come si presenta tutt’oggi, con un colonnato circolare a separare i due ordini concentrici, che conferisce all’edificio un aspetto arioso.Nella piccola abside della cappella è conservato un mosaico, anch’esso del VII secolo, raffigurante un Cristo non crocifisso affiancato dai due martiri. Tale mosaico, volutamente semplice e distensivo per non disturbare la serenità della preghiera, contrasta notevolmente, come vedremo tra poco, con il resto dell’iconografia.
Al suo interno sono degni di nota la Sedia di Gregorio Magno, una cattedra in marmo dalla quale si dice che il grande papa pronunciasse le sue omelie, una tomba cinquecentesca nella cappella di Santo Stefano, un modellino di come sarebbe dovuta essere la Basilica di San Pietro e un mitreo del II-III secolo, posizionato al di sotto della chiesa e non accessibile al pubblico, avente la decorazione dei Castra Peregrina, ovvero la caserma dei distaccamenti delle truppe provinciali romane.
Ma ciò che colpisce di più in questa chiesa austera è il ciclo di affreschi che decorano l’intera parete del secondo anello circolare. Eseguiti nel XVI secolo da Nicolò Circignani, in arte il Pomarancio (1519-1591) e da Antonio Tempesta detto il Tempestino (1555-1630), tali affreschi raffigurano con sorprendente realismo, in 34 grandi scene, i vari generi di supplizi e le atrocità, molte volte davvero raccapriccianti, cui furono sottoposti i martiri cristiani.
La serie incomincia con gli infanticidi perpetrati da Erode nella celebre Strage degli innocenti e prosegue man mano a narrare con le immagini le macabre torture, con tanto di spiegazione degli episodi raffigurati, sotto ogni scena.
Un netto contrasto, dunque, con il mosaico sopra citato, anche perché in questi affreschi non vengono risparmiati i particolari particolarmente sanguinolenti, tanto da rasentare lo splatter, molto ma molto tempo prima che lo splatter fosse considerato un genere a sè stante.
Per tutti questi aspetti la chiesa di Santo Stefano Rotondo può considerarsi tappa consigliata del lungo percorso misterioso e affascinante che solo la città eterna può donare all’uomo.