5G, smart working, acquisti online e chi più ne ha più ne metta. Nella nostra società contemporanea sta succedendo qualcosa di molto importante che però, secondo gli esperti, ci sta però sfuggendo dalle mani.
Come ci ha fatto notare il professor Fausto Pagnotta, è in atto una vera e propria colonizzazione digitale. I bambini sin da piccoli hanno tra le mani e usano smartphone, tablet e PC spesso senza che venga esercitato alcun controllo da parte degli adulti.
Perché quando si tratta di insegnare ai bambini ad andare in bicicletta gli adulti spendono tanto del loro tempo per trasmettere dei messaggi educativi ed invece questo non avviene quando si tratta delle nuove tecnologie che sono molto più complesse e potenzialmente pericolose? Una serie di paradossi hanno spinto Fausto Pagnotta a interrogarsi sul tema della “globalizzazione digitale e i suoi linguaggi” nel suo libro “Linguaggi in rete: conoscere, comprendere e comunicare nella web society”.
La sua riflessione ha inizio da un importante presupposto, cioè che il pensiero critico è ciò che contraddistingue noi esseri umani, e pensiero critico significa appunto non dare nulla per scontato, interrogarsi, confrontarsi.
E noi nel momento in cui accettiamo inconsapevolmente questo grande cambiamento che sta avvenendo all’interno della comunicazione non ci interroghiamo più sulle parole, le consideriamo un fatto naturale, le diamo per scontate. Invece le cose non vanno così.
Le parole sono un importante strumento politico e vengono utilizzate, da chi ben le conosce, con intelligenza e consapevolezza. Si pensi al sapiente uso propagandistico della radio portato avanti da Goebbels nella Germania nazista oppure si pensi all’importanza che aveva la retorica nel mondo antico, al fatto che la parola poteva decidere della vita e della morte delle persone, come avvenne nel caso di Catilina, il quale venne aspramente attaccato da Cicerone nelle sue Catilinarie. Il paradosso è che noi viviamo con leggerezza cose dietro cui invece ci sono cose molto materiali. Bauman definisce la nostra società come una società “liquida”, aeriforme.
Si pensi al colore di Facebook: il blu. Il blu evoca e ci comunica leggerezza e serenità. Ma dietro Facebook non c’è solo quel ragazzo giovane e spensierato che noi pensiamo, Mark Zuckerberg, ci sono altre figure: un magnate russo, una delle più famose banche americane, un imprenditore edile cinese. Dietro Facebook ci sono soldi, cemento, edilizia, investimenti. Non possiamo dunque pensare di poter usare con leggerezza e quasi inconsapevolmente quello che le nuove tecnologie oggi ci offrono. Dobbiamo sempre usare spirito critico.
Un altro paradosso è che i nuovi mezzi di comunicazione sembrano avvicinarci ma in realtà ci allontanano, suggellano una vera e propria distanza dal punto di vista della relazione. La rete da strumento informatico è diventata ambiente sociale, il luogo dove si creano relazioni, relazioni che sono per lo più fittizie, né corporee né tangibili. Dietro il display possiamo nascondere o modificare le nostre emozioni e sensazioni. Pensiamo che informare sia la stessa cosa di comunicare, quando invece comunicare, a differenza di informare, implica un rapporto, una relazione.
È in atto un vero e proprio cambiamento all’interno della comunicazione. Mcluhan nel suo libro del 1966 “Capire i media. Gli strumenti del comunicare” scrive sulla diffusione della TV: “I media cambiano il nostro rapporto con gli altri, il nostro modo di esprimerci e il nostro modo di essere cittadini e esseri umani”. La lingua è cultura ma è anche biologia. Se l’uomo parla in un certo modo è anche perché è fatto in un certo modo. Noi parliamo perché siamo esseri umani e se ci abituiamo a comunicare solo con lo smartphone e con i social network perderemo una delle prerogative dell’uomo: la parola.
Ci stiamo anche disabituando a leggere e un popolo che non legge è un popolo che non si confronta, perché leggere implica un incontro con l’altro, è un esercizio di confronto pluralistico, a cui consegue anche la capacità di elaborare forme di dissenso.