La divina commedia racconta del viaggio di purificazione dell’anima di Dante ma anche dell’intera umanità. Questo tema si correla strettamente al motivo della luce nel Paradiso, che si contrappone al buio del peccato dell’Inferno.
Per Dante infatti, come per tanta cultura medievale, la luce è manifestazione sensibile della presenza di Dio, come già lo testimonia l’espressione che Dante utilizza per definire Dio al verso 2 del canto I:”la gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra e risplende/ in una parte più e meno altrove”; è quindi lo splendore diffuso della sua essenza che penetra in ogni luogo dell’esistenza.
Infatti anche il compenetrarsi della virtù divina dall’Empireo ai cieli inferiori fino alla terra si manifesta come discesa di luce, come Beatrice riferisce a Dante nel canto II spiegandogli la natura delle macchie lunari.
Essa infatti afferma che il punto centrale del Paradiso è l‘Empireo e da questo, attraverso il primo mobile e il cielo delle stelle fisse, piove sui vari cieli una virtù, che in modi diversi si lega ai singoli cieli, a seconda della loro natura e del grado di beatitudine di cui godono. Le macchie lunari, quindi, non sono determinate dalla diversa rarefazione della materia, ma dalla maggiore o minore luminosità del cielo.
Il cielo della luna è il più distante da Dio e per questo riceve meno luce. Al contrario l’Empireo è il “ciel che più de la sua (di Dio) luce prende“(canto I, v.4). Come gli spiriti del cielo della luna, che non hanno portato a compimento i loro voti, così anche gli spiriti del cielo di Mercurio godono di una luce minore rispetto a quelli successivi, ma al tempo stesso quest’ultima è un poco superiore rispetto a quella del cielo precedente.
Dice Giustiniano nel canto IV:”questa piccola stella si correda dei buoni spiriti che son stati attivi perché onore e fama li succeda: e quando li desiri poggion quivi, sì desviando, pur conviene che i raggi del vero amore in sù poggin men vivi”.
In ogni caso, tutti gli spiriti sono paghi della loro condizione perché “nella sua (di Dio) volontade è la nostra pace”, dice Piccarda.
Inoltre, il primo e indispensabile atto verso la salvezza consiste nella conoscenza, e questa deriva dalla visione fisica ed intellettuale del mondo divino.
Già a partire dal canto I, infatti, Dante a stento sostiene la vista del sole che è così potente da sembrargli che Dio abbia adornato il cielo di un secondo sole.Infatti sin dal canto I, Dante si mostra stupito del “grande lume” presente in Paradiso, a cui deve gradualmente abituarsi. Egli, cioè, più si avvicina alla conoscenza di Dio, più la luce aumenta: deve quindi compiere un percorso prima di poter arrivare alla completa e finale visione di Dio, e quindi della pien luce.
Inoltre, a partire dal cielo di Mercurio, gli stessi spiriti si manifestano come lumi, che intensificano la loro luminosità quando esprimono gioia o carità.
Nel canto III, ad esempio, Costanza D’Altavilla viene presentata come “splendor” come anche gli spiriti del cielo di Mercurio nel canto V, compreso Giustiniano che, dopo che Dante gli rivolge la parola, “fessi lucente più assai di quel ch’era”.
La stessa Beatrice, che addirittura nel canto III viene definita “sol”, mano a mano che si sale diviene sempre più bella e luminosa, al punto che Dante esprime una difficoltà e incapacità crescenti nel descriverla.
Di qui il motivo della luce si lega strettamente a quello della ineffabilità, anch’esso centrale nel Paradiso e che, a sua volta, spiega la tensione espressiva di Dante che deve riuscire a descrivere l’indescrivibile.
Da ciò è chiara la straordinaria inventività del suo linguaggio, che è uno degli aspetti più interessanti della cantica del Paradiso.
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