Mossaddegh e il dimenticato colpo di Stato americano in Iran

Tempo di lettura: 5 minuti Gli ultimi sovrani della dinastia Qajar avevano sperperato le ricchezze dell'Iran e distribuito concessioni a russi e inglesi, che erano invischiati, in Asia, nel cosiddetto “Grande Gioco” e si contendevano l'influenza sul territorio iraniano e sulle sue risorse. Nel 1901 era stato accordato al finanziere inglese William Knox D'Arcy un contratto di concessione per la gestione e l'esportazione del petrolio.
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Gli ultimi sovrani della dinastia Qajar avevano sperperato le ricchezze dell’Iran e distribuito concessioni a russi e inglesi, che erano invischiati, in Asia, nel cosiddetto “Grande Gioco” e si contendevano l’influenza sul territorio iraniano e sulle sue risorse. Nel 1901 era stato accordato al finanziere inglese William Knox D’Arcy un contratto di concessione per la gestione e l’esportazione del petrolio.

Fu qualche anno dopo che gli uomini di D’Arcy scoprirono importanti giacimenti di petrolio nel sud dell’Iran. Nacque così la Anglo-Iranian Oil Company, che poco di iraniano aveva e molto di inglese. Ben presto, infatti, la Gran Bretagna acquisì la concessione di D’Arcy e occupò la regione intorno ad Abadan e Khorramshahr, costituendo praticamente uno Stato all’interno dello Stato iraniano.

Nel 1932 tuttavia, sotto il regno di Reza Shah Pahlavi, il governo iraniano si accorse di una brusca diminuzione nella sua parte di utile annuale: dal bilancio effettuato ci si rese conto che solo il 10% del valore totale del petrolio toccava all’Iran, mentre il resto finiva nelle tasche degli inglesi. Per calmare le acque, questi ultimi si videro perciò costretti a concedere un piccolo aumento dell’utile iraniano.

All’inizio della seconda guerra mondiale, l’Iran venne occupato da Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna. I tre paesi, affamati di petrolio, tentarono in tutti i modi di negoziare in gran segreto nuovi accordi petroliferi con il primo ministro iraniano Saaed, alle spalle del parlamento dell’Iran.

Fu a questo punto che intervenne Mohammad Mossaddegh.

Mossaddegh, nato a Tehran nel 1882, aveva fatto la sua comparsa sulla scena politica iraniana a soli 15 anni, come ispettore delle finanze. Dopo aver ottenuto un dottorato in Svizzera, era rientrato nel paese natale e aveva ricominciato la propria attività politica. Con la salita al potere di Reza Shah, essendosi opposto al suo regime dittatoriale, nel 1925 Mossaddegh era stato arrestato e mandato in esilio. Senza darsi per vinto, alla caduta di Reza Shah, Mossaddegh ritornò in politica. Sotto il nuovo Shah Mohammad Reza, egli si battè per la democratizzazione del paese, per la libertà di stampa e per la nazionalizzazione del petrolio iraniano e ben presto divenne il leader carismatico della federazione di partiti che si era venuta a costituire sotto il nome di Jebh-e Melli (Fronte Nazionale).

Nel novembre del 1944, Mossaddegh presentò una proposta di legge in parlamento, subito approvata, per regolamentare le negoziazioni dei ministri in fatto di accordi petroliferi e vietare loro di prendere decisioni senza prima consultare il parlamento. Finalmente, poi, il 15 marzo 1951, Mossaddegh riuscì a far passare in parlamento la legge per la nazionalizzazione del petrolio. Lo Shah, di fronte ai mezzi perfettamente legali utilizzati da Mossaddegh, non potè far altro che firmare l’accordo. Mohammad Reza Shah era in balia del volere delle potenze occidentali, che avevano appoggiato la sua salita al trono, avendo visto in lui un monarca dalla personalità conciliante e influenzabile.

D’altra parte, il successo di Mossaddegh, nazionalista e democratico, non faceva che aumentare: nell’aprile del 1951 egli fu eletto primo ministro. Era chiaro però che la sua volontà di portare il paese a una vera indipendenza e ad un vero regime costituzionale si scontrava apertamente con una serie di forze: lo Shah stesso, sostenuto da una parte dell’esercito, l’alta borghesia e i grandi proprietari fondiari, fedeli allo Shah, ma soprattutto gli inglesi.

Scioccati dall’affronto che rappresentava per loro la nazionalizzazione, dopo aver decretato l’embargo sull’esportazione del petrolio iraniano, gli inglesi si precipitarono infatti al consiglio di sicurezza dell’ONU e al tribunale internazionale dell’Aia per accusare Mossaddegh, certi del loro diritto di poter sfruttare a proprio piacimento le risorse dell’Iran. Mossaddegh si presentò in tribunale accompagnato da un’équipe di giuristi e il 21 luglio 1952 il tribunale dell’Aia decretò che il petrolio iraniano apparteneva allo Stato iraniano e respinse le richieste degli inglesi.
Tuttavia, nel frattempo, negli Stati Uniti e in Inghilterra arrivarono rispettivamente al potere il repubblicano Eisenhower e il conservatore Churchill e iniziarono gli intrighi.

Nel marzo del 1953, il dado fu tratto: in occasione di una conferenza a Washington, i ministri degli affari esteri di entrambi i paesi decisero di liberarsi di Mossaddegh, una volta per tutte. In una riunione che ebbe luogo il 25 giugno del 1953, varie personalità politiche americane, tra cui il capo della CIA, pianificarono in dettaglio il colpo di Stato che, secondo i loro calcoli politici, era divenuto necessario. Non soltanto infatti Mossaddegh aveva nazionalizzato il petrolio iraniano, osando sfidare la supremazia di una potenza europea, ma egli era anche pericolosamente vicino al partito comunista iraniano, il Hezb-e Tudeh, e ben sappiamo quanto gli americani temessero lo “spettro del comunismo”. Senza contare poi che un altro grande terrore perseguitava gli Stati Uniti e la Gran Bretagna: quello che la politica di nazionalizzazione potesse diffondersi e propagarsi anche verso altri paesi il cui petrolio era, di fatto, in mano alle potenze occidentali.

Kermit Roosevelt, capo dell’operazione della CIA, l’operazione Ajax, che doveva mettere in atto il colpo di Stato, giunse in Iran attraverso la frontiera irachena e il 2 agosto 1953 incontrò lo Shah di persona, convincendolo ad approvare due firmani, uno che sollevava Mossaddegh dalla propria carica di primo ministro e l’altro che affidava quella stessa carica al generale Zahedi.

Il 16 agosto 1953 vennero eseguiti una serie di arresti e venne tagliata la linea telefonica del quartier generale dell’esercito. Il colonnello Nassiri, fedele allo Shah, si recò poi presso l’abitazione di Mossaddegh per consegnargli il firmano in cui si decretava la fine del suo mandato. Ma Mossaddegh, essendogli già giunta la notizia, precedette e fece arrestare il colonnello dalle proprie guardie prima che questi potesse portare a termine la propria missione. L’operazione Ajax falliva così miseramente e lo Shah si vide costretto a fuggire a Baghdad e da lì a Roma.

Ma gli americani non si diedero certo per vinti. Il quartier generale delle operazioni anti-Mossaddegh fu spostato direttamente nientemeno che all’ambasciata degli Stati Uniti di Tehran. Il 18 e il 19 agosto, a Tehran e a Ghazvin furono organizzate una serie di manifestazioni in favore dello Shah, cui parteciparono anche i militari e vari esponenti del clero, il quale, negli ultimi tempi, si era gradualmente allontanato da Mossaddegh. Vennero fatti chiamare inoltre 800 paesani dal sud della capitale, per alimentare il gruppo dei manifestanti. Le unità militari occuparono i punti strategici di Tehran e il generale Zahedi si diresse poi verso la radio, dove annunciò al popolo iraniano la caduta di Mossaddegh, presentandosi come nuovo primo ministro.

Infine, i manifestanti e i militari presero d’assalto la residenza di Mossaddegh, che fu messa a ferro e fuoco. Condannato a tre anni di prigione e poi esiliato nel suo villaggio natale ad Ahmad Abad, Mossaddegh scomparve così dalla scena politica iraniana e morì nel 1967.

Fu così che Mohammad Reza Shah rientrò nel paese e nel 1954 fu firmato un nuovo accordo con le compagnie petrolifere straniere: la produzione di petrolio venne affidata a un consorzio di grandi compagnie americane e inglesi (e, in piccola parte, olandesi e francesi). Era la fine del sogno della nazionalizzazione del petrolio e della democrazia in Iran.

Nel 2000, l’allora segretaria di Stato degli Stati Uniti, Madeleine Albright, ha riconosciuto ufficialmente il ruolo del suo paese nel colpo di Stato del 1953 in Iran e lo stesso ha fatto Barack Obama nel 2009. Inoltre, nell’ottobre del 2011, Hillary Clinton si è scusata dell’implicazione degli Stati Uniti nelle vicende del 1953, che hanno distrutto la marcia dell’Iran verso la democrazia.

Forse smetteremo di sentire queste scuse quando Stati Uniti e Europa smetteranno di usare due pesi e due misure nel riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei popoli nei vari Stati del mondo. Viene in mente una celebre frase di George Orwell: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.


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