Le tre isole più remote (ma abitate) al mondo e dimenticate dall’uomo

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La geografia non è solo quella che ci insegnavano a scuola: una lunga (e per molti noiosa) memorizzazione di capoluoghi, fiumi e monti del mondo. Bisognerebbe uscire dall’ottica di questo tipo di insegnamento rigido e puramente accademico in cui la ricerca personale viene punita invece che premiata dalla curiosità e dall’immaginazione. Sono pochi coloro che scelgono un percorso di studi umanistico, pochissimi coloro che optano per facoltà legate alla geografia, storia, antropologia, ecologia, scienze del turismo o beni culturali.

Di conseguenza ciò provoca un calo di potenziali scrittori e ricercatori moderni che, ad esempio, si potrebbero soffermare sullo studio di particolari città, stati o isole, fornendo una maggiore conoscenza del globo in cui viviamo, nonché una maggior apertura mentale che arricchisca la nostra cultura personale. Ed è proprio qui che si pone l’importanza generale dello studio e dell’eredità delle materie umanistiche, ovvero la possibilità di tramandare alle future generazioni quel bagaglio culturale indispensabile per l’uomo moderno, affinché non perda i suoi legami con il passato e li dimentichi, correndo a gambe levate verso il progresso della scienza moderna come un cavallo con i paraocchi, perdendosi così splendide vedute e panorami mozzafiato.

Una breve ricerca, che non tutti al giorno d’oggi si chiedono durante il loro percorso di studi, potrebbe essere la seguente: Lo studio delle isole più remote e allo stesso tempo affascinanti del globo terrestre. Vi siete mai chiesti quali e dove fossero alcuni dei posti più sperduti al mondo? In questo articolo ne inserirò solo alcune. Prenderemo in considerazione in particolare tre isole, quasi totalmente disabitate, situate in parti completamente opposte del mondo ma incredibilmente affascinanti: Asia, Polinesia ed Oceano Atlantico.

Partiamo dall’isola di Iwo Jima, conosciuta forse per il famoso film “Lettere da Iwo Jima” dove è ben descritta la sua geografia e situata a 1.046 km a sud di Tokyo (24,48° N, 141,19° E). Essa si presenta come un’isola vulcanica, ampia poche decine di km. Ha una forma caratteristica poiché similissima a quella di una pera capovolta, nella cui parte meridionale si erge appunto il vulcano Suribachi, ormai spento da tempo. Nella parte centro-settentrionale l’altopiano di Motoyama domina l’isola. Interamente ricoperta da una sabbia d’origine vulcanica completamente nera e polverosa, essa è composta da un numero ridotto di alberi e da sterpaglie.

La sua storia è alquanto particolare, infatti fu teatro di un incredibile scontro nel pieno della Seconda Guerra Mondiale tra le truppe americane e quelle giapponesi. Ventiduemila soldati che si fronteggiano in un’isola di soli 21 km di grandezza costituiscono un vero record! Purtroppo a questo aspro e violento scontro sopravvissero solo in poco più di 1000 persone, secondo i dati più recenti. Da qui deriva la famosa foto dell’installazione della bandiera americana sul suolo nemico, che oggi ha fatto il giro del mondo grazie ai social network e ad internet.

Oggi questa isola, da molti studiosi considerata disabitata sotto il punto di vista di insediamenti umani perenni, ospita in realtà una base militare giapponese, in virtù anche della presenza di una pista d’atterraggio, che ospita mezzi della guardia costiera per il soccorso in mare e permette il rischieramento di aerei da combattimento. Inoltre essa funge da aeroporto per le isole Ogasawara che non ne sono dotate.

Un’altra interessante isola sperduta e semi-deserta è quella che ospita la minuscola cittadina di Adamstown, all’interno del piccolissimo arcipelago delle Isole Pitcairn e l’unica abitata. La sua superficie corrisponde solamente a 4,6 km²! Essa su scoperta intorno all’800 d.C. e venne raggiunta e successivamente colonizzata da alcuni polinesiani provenienti forse dall’insediamento più vicino, chiamato Mangareva, distante (solo!) 483 km, nell’Arcipelago Gambier.

Si suppone, a causa di pochissimi frammenti storici che ci ostacolano sulla ricostruzione della vita pre-coloniale sull’isola, che comunque che esistessero già pochi insediamenti fissi, creati per la presenza su Pitcairn di cave di vetro vulcanico, indispensabili per costruire asce e strumenti affilati. Proprio questo fu il motivo che spinse i polinesiani di Mangareva, che ne era priva, a farsi un bel viaggetto di soli 500 km per colonizzarla! Questo materiale pregiato era infatti una merce di scambio molto preziosa per l’epoca.

I rapporti di scambio con il vicino atollo di Henderson e con Mangareva si interruppero però intorno all’anno 1500, quando su Mangareva la deforestazione portò ad una grave crisi ecologica e di conseguenza all’impossibilità di costruire nuove canoe adatte al viaggio in alto mare. All’arrivo dei primi scopritori occidentali, non fu registrata presenza umana. Per scoprire Pitcairn gli europei dovettero aspettare fino al 1767, quando fu scoperta navigando sulla HMS Swallow (Nave di Sua Maestà Rondine) comandata dal capitano Philip Carteret. L’isola fu segnata sulla carta con un errore di circa 150 miglia e Carteret decise di battezzare l’isola con il nome di Pitcairn, nome del Guardiamarina Robert Pitcairn, membro dell’equipaggio che fu il primo ad avvistare l’isola.

La popolazione di Pitcairn ha raggiunto un picco di 223 abitanti immediatamente prima della seconda guerra mondiale, ma ultimamente alla preoccupazione per la sovrappopolazione si è sostituita quella per lo spopolamento, in quanto gli isolani vanno in cerca di migliori opportunità in Nuova Zelanda e in altri paesi.

L’ultima isola a cui vorrei dare attenzione non è però una vera e propria “isola” ma costituisce un remotissimo arcipelago nel sud dell’Oceano Atlantico. Si tratta infatti del luogo abitato più vicino al Polo Sud! Stiamo parlando dell’arcipelago di Tristan da Cunha, appartenente al territorio britannico d’oltremare di Sant’Elena, situata (solo!) 2.172 km più a nord.

L’arcipelago di Tristan da Cunha è composto dall’omonima isola principale (98 km²) che è l’unica abitata dall’uomo, e da una serie di isole disabitate: l’Isola Inaccessibile, le Isole Nightingale e l’Isola Gough (situata a 395 km a sud est dell’isola principale). Qui inoltre non sono presenti porti ed aeroporti ed è davvero difficilissimo arrivare (e di conseguenza venire via!).

Il nome dell’arcipelago deriva dal navigatore portoghese Tristão da Cunha che per primo, nel 1506, avvistò una di queste isole, senza sbarcarvi. Quasi quindici anni dopo, nel 1520, avvenne invece il primo sbarco sull’isola, operato dal capitano portoghese Ruy Vaz Peneira. L’arcipelago fu però colonia fissa solo dal 1760, anno in cui il capitano inglese Gamaliel Nightingale sbarcò su un’isola (allora chiamata Broken Island) e le diede il suo nome. Da allora l’arcipelago divienne la residenza temporanea per cacciatori di foche e balenieri. Il 28 novembre 1815 sbarcarono sull’isola 38 militari, sette civili, 10 donne e 12 bambini che costruirono degli edifici sullo stesso posto dove ora sorge il villaggio Edinburgh of the Seven Seas cioè Edimburgo dei Sette Mari, un nome romantico ed alquanto evocativo.

Di: Claudio Pira

Fonti:
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2016/01/14/news/la_grande_fuga_dall_universita_-130049854/
http://it.wikipedia.org/wiki/Isole_Pitcairn
http://it.wikipedia.org/wiki/Tristan_da_Cunha
http://it.wikipedia.org/wiki/Iwo_Jima

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