Molti sono i fatti del periodo coloniale sui quali si tende a tacere o a minimizzare. Uno di questi, accaduto in patria francese, è quello del 17 ottobre 1961, dimenticato per decenni dallo Stato. Ebbene, la colonizzazione francese in Algeria si protrasse per più di centotrent’anni, dal 1830 fino al 1962.
L’opera forzata di occidentalizzazione della società algerina da parte del colonizzatore francese si espandeva su tutti i fronti: l’intento del colonizzatore era quello di sradicare la cultura algerina e di sostituirvi quella occidentale francese. Come in tutte le storie coloniali, infatti, l’ideale coloniale, o, meglio, la “missione caritativa” del colonizzatore, erano quelli di portare in terra selvaggia la vera cultura, la civilità, una lingua civile, una religione civile, una scienza civile e quant’altro. In altre parole, si trattava del famoso “fardello dell’uomo bianco”.
La storia coloniale dell’Algeria non fu diversa. La società algerina si ritrovò ben presto oppressa e incapacitata a far fronte alla potenza coloniale francese per lunghissimo tempo. Per lo più estranei gli uni agli altri, francesi e algerini coesistevano in una terra che ormai non apparteneva né agli uni né agli altri. I francesi si lanciavano in insistenti campagne di emancipazione, d’istruzione e di occidentalizzazione della società algerina, non disdegnando l’uso della forza; gli algerini, dal canto loro, si attaccavano disperatamente alle proprie radici, fossilizzandole e rimanendo intellettualmente bloccati e sottomessi all’oppressore francese.
Tuttavia, a partire dal 1954, una nuova spinta decisiva prende vita in seno all’Algeria: viene a crearsi un Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e la società algerina si unisce per ribellarsi al colonizzatore. Naturalmente, la rivoluzione algerina non venne mai riconosciuta come tale dai giornali e dai politici francesi dell’epoca: si parlava piuttosto di “événements d’Algérie” o tutt’al più di “guerre d’Algérie”. Sta di fatto che, dopo sette anni di guerra, l’Algeria riconquistò finalmente la propria indipendenza, ormai troppo a lungo dimenticata.
Fu nell’ottobre del 1961 che avvenne il massacro di circa 200 algerini a Parigi. A soli cinque mesi dalla fine della guerra, il 17 ottobre decine di migliaia di algerini decisero di scendere nelle strade della capitale francese per manifestare pacificamente contro il coprifuoco che era stato loro imposto dal 5 ottobre. La Fédération de France del FLN aveva invitato tutti gli algerini residenti a Parigi a partecipare, proibendo loro espressamente di portare armi. La repressione della manifestazione da parte delle forze di polizia parigine fu brutale. Gli algerini furono letteralmente massacrati: vennero feriti a centinaia e tra le 150 e le 200 persone furono uccise e i loro corpi gettati nella Senna. Si parla della più violenta repressione della storia contemporanea mai perpetrata da parte di uno Stato dell’Europa occidentale in risposta a una manifestazione cittadina.
Dopo la fine della rivoluzione e la chiusura dell’avventura coloniale in Algeria, una serie di amnistie fecero sì che la guerra venisse inghiottita dall’oblio: le leggi del 1974 e del 1982 annullarono tutte le sentenze criminali emesse durante o appena dopo la guerra. Il massacro del 17 ottobre è stato quindi occultato per decenni dalla memoria della Francia. Negli ultimi anni, alcune collettività locali, tra cui il comune di Parigi nel 2001, hanno riconosciuto finalmente questo massacro, ma è solo nel 2012, in occasione del cinquantunesimo anniversario della strage, che François Hollande ha riconosciuto, in nome della Repubblica, la “repressione sanguinosa” in cui centinaia di algerini “che manifestavano per il diritto all’indipendenza” avevano perso la vita.
« Hommes noyés, fusillés, torturés, à jamais témoins de la barbarie, vous êtes comme un souffle de vie suspendu qui rafraîchira la mémoire des générations en pèlerinage d’identité »
« Uomini annegati, fucilati, torturati, per sempre testimoni della barbarie, siete come un soffio di vita sospeso che rinfrescherà la memoria delle generazioni in pellegrinaggio d’identità » Kettane 1985.
Di: Marianna Cavalli
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