Il mistero di Orazio ed il suo orientamento politico

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L’orientamento politico di Orazio è sempre stato tema di ampio dibattito per storici e latinisti. Dalle sue opere che cosa si può dedurre in concreto? Apparteneva alla corrente dell’Epicureismo, dello Stoicismo o del Cinismo? La risposta più plausibile è: un po’ di tutte queste scuole filosofiche… ma non soltanto.

Il suo vero insegnante, come lui stesso ci racconta nelle sue satire, è stato suo padre, un liberto che gli ha insegnato ad apprendere dai vizi altrui per migliorare se stessi. Quella di Orazio è una filosofia rustica, propria della saggezza popolare, come quella di suo padre. Sicuramente i principi caratteristici della sua morale sono anche quelli dell’epicureismo e dello stoicismo: metriotes, senso della misura, e autarkeia, autosufficienza interiore. Ma a guidarlo nella vita è anche il buon senso la virtù sta nel giusto mezzo.

È  dunque vero quanto sostiene il Lejay , cioé che il suo “bon sens” e l'”intelligence pratique du vrai Romain” lo rendono propenso, piú che alle speculazioni teoriche, alla trattazione di problemi morali su cui scuole anche in opposizione fra loro potevano trovare un accordo. Il principio della metriotes trova larga diffusione nell’antichità: profondamente radicato nella Grecia primitiva, che aveva eretto a propria regola di vita il MEDEN AGAN (“mai troppo”) scolpito sulle porte del tempio di Apollo a Delfi e il METRON ARISTON di Cleobulo, uno dei sette sapienti dell’antichità, domina poi sia nel pensiero di Platone, il cui mondo ideale è “finitezza, ordine, misura”, sia nella morale di Aristotele, che lo considera il fondamento della virtù. Proprio la stessa raccolta di satire del poeta di Venosa si apre con una affermazione del modus (misura) che non può non avere valore programmatico. Dunque si può certamente affermare che non poteva non esserci in Orazio la propensione verso una filosofia determinata (nonostante sia vero quanto detto sopra, cioè che O. attinge da diverse e varie scuole filosofiche), che si rivela essere l’epicuresimo.

Come ci insegna la favola dei due topi, il topo di campagna e quello di città, presente nella satira 2.6. Non è giusto risparmiare tutta la vita soffrendo la fame come fa il topo di campagna ma nemmeno vivere nel lusso e rischiare la vita come fa il topo di cittá.  Meglio sarebbe vivere in pace con se stessi e in tranquillità, accontentandosi di poco. In fondo come sceglie di fare Orazio stesso, che verso la fine della sua vita decide di lasciare Roma, città caotica, per ritirarsi nella sua casa di campagna, apprezzando le piccole cose della vita (“Ecco perché solo di rado s’incontra chi dica d’essere vissuto felice e, pago del tempo trascorso, esca di vita come un convitato sazio.“; satira 1,1).

Ma la metriotes, oltre che essere un impegno di vita, è anche un impegno d’arte, impegno di stile. Proprio nell’elaborazione di questo stile medio, lontano, come la vita dell’autore, sia da raffinatezze sia da sordidezze e volgarità (La penna) Orazio compie una delle sue maggiori conquiste. Orazio dunque combina diversi livelli stilistici dialetticamente risolti nell’omogenea continuità di un registro armonizzante (Conte): Orazio alza e abbassa, bilanciando continuamente i toni. Vario dunque il registro della satira oraziana,ma contenuto entro un’ampiezza in cui massimi e minimi risultano perfettamente contemperati: la misura non è solo concetto espresso a parole, ma elemento attivamente operante e vivificatore della poesia.


Orazio non si mette mai su un piedistallo convinto di essere il maestro che ha solo da insegnare agli altri ma, consapevole dei suoi limiti, vuole migliorare e mette sotto il giudizio degli altri anche i suoi difetti. Come gli suggerisce la filosofia epicurea, egli si distacca dall’ “absence d’ironie, brutalitè, intempestivité” propria della morale stoico-cinica per aderire ad un atteggiamento bonario e comprensivo. Non è mai di una moralitá intransigente e dimostra di avere quell’umanitarismo, quell’apertura all’uomo che invece sono sconosciuti alla rigida filosofia stoica.

Nonostante in gioventù, nelle sue poesie, avesse usato un tono anche aggressivo e caustico, in età più matura, quando compone le satire, si distacca dalla tradizione satirica di Lucilio per inseguire un ideale di eleganza e equilibrio. La primitiva aggressività si è placata in una contemplazione della vita più serena e distaccata.

E alla fine, allontanatosi dal tumulto della città e acquistata la pace interiore, potrà cantare  in poesia questa sua armonia con se stesso e col resto del mondo che lo caratterizza… una poesia che ha avuto, come lui si augurava, fama eterna… una poesia che durerà quanto la città di Roma. “Non morirò del tutto, anzi una gran parte di me\ eviterà la morte; per sempre\ io crescerò rinnovato dalla lode dei posteri\ finché il pontefice salirà in Campidoglio\ con la processione silenziosa delle vergini.\ Si dirà che io, dove strepita scrosciante l’Ofanto\ e dove Dauno povero d’acque regnò su popoli agresti\ da umili origini fatto potente, per primo\ ho portato a ritmi italiani la poesia eolica.\ Assumiti questo traguardo\ conquistato per tuo merito e con l’alloro di Delfi,\ Melpomene, di buon grado cingimi i capelli.” (Libro III, Ode 30).


Di: RLS Staff

Fonti:
La Penna,” Antologia.
Le opere”Minarini, “La satira 1,1”
Web

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