La sensibilità estetica nel tardo Medioevo

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La consapevolezza del piacere estetico e la sua manifestazione con le parole si sono sviluppate tardivamente nell’individuo. Nel XV secolo il concetto di bellezza artistica era estraneo al sentire comune. L’estetica dell’arte colpisce l’uomo del tardo medioevo, ma la sua reazione immediata è di condivisione di tale commozione con Dio. Dagli scritti di Dionigi il Certosino, il “De venustate mundi et pulchritudine Dei”, si evince come la vera bellezza venga deputata solo a Dio; al mondo è concesso di essere solo “venustus”, grazioso.

Una creatura viene considerata bella solo in quanto partecipe della beltà divina e che quindi acquisisce una similarità con essa. L’analisi di Dionigi sonda anche nei casi di bellezza terrena, ma nella sua analisi si ferma solo alla superficie. Ad esempio la terra è bella nelle sue accezioni di lunghezza e di larghezza; le stelle per la loro luminosità; le foglie per il loro colore verde; e cosi via. La mentalità medievale accoglie il concetto dell’estetica riconducendolo alle idee di perfezione, misura e splendore. E’ una nozione intellettualizzata, strutturata. La vera beltà è quella invisibile: quella degli angeli. L’avvenenza è da ricercare nelle cose astratte. Bisogna perseguire la strada indicata dal divino, scevra dal peccato, obbedire alla legge dell’Empireo. Dionigi non contempla l’estetica della musica, né dell’arte. Racconta un aneddoto di quando, entrato nella chiesa di San Giovanni a Bosco Ducale, fu colpito da una musica d’organo e in lui ciò si traspose subitaneamente in una esperienza religiosa.

Nel suo pensiero non era possibile percepire qualcosa di diverso dal senso divino. Anzi egli era contrario all’introduzione della musica polifonica in chiesa. La musica artistica che diletta l’udito è bandita poiché è sentore di peccato e comporta un abbandono dell’animo. Gli appellativi utilizzati nella descrizione di bellezza nella musica sono sempre generici, come per la pittura. Si contempla la grazia celeste per ricondurre l’emozione uditiva alla beatitudine divina. In pittura le immagini non sono viste come una riproduzione, ma come un eco del mondo ultraterreno. Nota la passione di Carlo il Temerario per la musica, abitudine descritta dalle parole di Molinet, che tratta di come il sovrano si abbandonasse all’ascolto “della risonanza dei cieli, voce degli angeli, gioia di paradiso, speranza nell’aere, organo della Chiesa, ricreazione di ogni cuore triste e desolato, persecuzione e fuga dei diavoli”.

L’analisi teoretica del bello risulta deficitaria e la manifestazione dell’ammirazione è superficiale nei suoi epiteti, solitamente generici e che non si distolgono dall’idea di proporzione, grandiosità, ordine e luce. Soprattutto la qualità dello splendore. Per Dionigi l’intelletto e la sapienza sono dei “bagliori luminosi”. Le tracce del sentire estetico dell’epoca tardo-medievale non sono nella definizione della nozione di bellezza, né nelle emozioni risvegliate dalla pittura e musica, ma nelle espressioni di gioia celeste e nella luce che profonde in condivisione con il divino.


Di: Costanza Marana

                                                                               

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