Perché ci sono varie specie di coraggio, e quello dei grandi della terra non è quello dei piccoli, non permette- rebbe loro di sopravvivere. Il servitore non ha niente da spartire con certe virtù del padrone: esse non gli convengono più di quel che il timo e la maggiorana vadano bene per i nostri coni- gli che mangiano cavoli. Torno a dirti che siamo delle povere figlie riunite per pregare Iddio. Diffidiamo di tutto quello che può distrarci dalla preghiera, diffidiamo anche del martirio. La preghiera è un dovere, il martirio è una ricom- pensa.
Quando un grande Re, davanti a tutta la sua corte, fa cenno alla sua serva di sedersi con lui sul trono, come una sposa prediletta, è meglio che essa non creda ai suoi occhi, né alla sua orecchie, e continui pure a strofinare il suoi mobili. (Tratto dall’Atto secondo del “Dialogues des Carmelitès” su libretto di Georges Bernanos). La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, promulgata il 26 agosto 1789, giunge alla proibizione di emettere i voti religiosi (in nome della libertà individuale), e la soppressione degli Ordini religiosi, a cominciare da quelli contemplativi. Vige la convinzione che nessuno possa considerarsi libero se ritirato in un convento vincolato da voti; la coercizione è all’origine di questa scelta. La ragione illuminista si pone quale paladina della libertà in tutte le sue espressioni e conservatrice dell’individualismo. Il regime rivoluzionario ha come monito la restituzione della libertà e la lotta contro l’ignoranza e la dogmatica, priva di razionalità. Al potere i giacobini auspicano una completa scristianizzazione: abolizione calendario cristiano; sostituzione di nomi cristiani per strade, chiusura di chiese, sconsacrazione di edifici di culto. Il responsabile del Distretto di Compiégne scriverà di come i santi in legno vengano utilizzati per riscaldare i locali delle amministrazioni; di come i pulpiti siano conservati per la pubblicazione delle leggi; di chiese convertite in mercati. Il decreto varato impone il non riconoscimento ai voti religiosi e all’assunzione di offici contrari alle norme del diritto naturale. Un altro provvedimento del tribunale rivoluzionario fu la “Legge dei sospetti”.
In giudizio non occorrevano più né prove, né difensori, ma il semplice sospetto era sufficiente a condannare alla pena capitale. E’ in questo clima di intolleranza che si snoda la vicenda dell’eccidio di sedici suore carmelitane il 17 luglio del 1794. Questo fatto storico, con la sua crudezza, ha ispirato il mondo delle letteratura, con i romanzi “L’ultima al patibolo” di Gertrude von Le Fort e “Dialoghi delle carmelitane” di Georges Bernanos; e il mondo della musica con l’opera “Dialogues des carmélites” di Francis Poulenc. In base alle statuizioni del regime del Terrore, le priore di tre monasteri carmelitani inviano all’Assemblea Nazionale una missiva per rendere nota la loro convinzione religiosa. Vi è scritto: “Alla base dei nostri voti c’è la libertà più grande; nelle nostre case regna la più perfetta uguaglianza; noi qui non conosciamo né ricchi, né nobili. Nel mondo si ama dire che i monasteri rinchiudono vittime consumate lentamente dai rimorsi; ma noi confessiamo davanti a Dio che, se c’è sulla terra la felicità, noi siamo felici”. La persecuzione ha inizio con delle intimidazioni da parte degli ufficiali municipali alle porte dei monasteri. Nello specifico al momento nel monastero di Compiègne sono presenti 16 religiose professe, ove una novizia impossibilitata nel giuramento dei suoi voti. Le irruzioni degli ufficiali municipali all’interno del convento sono frequenti, violando la regola di clausura. Le indagini consistono nell’interpellare ogni monaca singolarmente; accuratamente e previamente impedendo le comunicazioni tra le suore e la Priora. Il capo degli ufficiali dichiara di essere apportatore di libertà e incita a parlare liberamente, confidando con sincerità le vere intenzioni delle sorelle, supponendo un loro desiderio di far ritorno in famiglia. Ma al contrario di ciò, le risposte ottenute al riguardo sono: “non vi era felicità più grande di quella di vivere da carmelitana”; oppure “risolutezza e fermezza a conservare il proprio abito”; infine “desiderio di vivere e morire in quella casa santa”.
Idea diffusa nel regime del Terrore è di dare una Costituzione civile al clero, attraverso cui costringere i preti a prestare giuramento di fedeltà alla Nazione; domandare alle Assemblee dipartimentali le elezioni dei preti e dei vescovi; ridurre le diocesi a strutture amministrative; rinunciare ai segni distintivi (es. l’abito religioso). Chi non segue tali disposizioni deve scontare la condanna di deportazione o di morte. Nel solo mese di settembre del 1792 vengono messe al patibolo circa 1600 vittime, tra le quali 250 preti massacrati nel convento dei carmelitani di Parigi. In quest’ordine l’idea del martirio è un concetto non disgiunto dalla propria etica e riflessione religiosa. E’ presente il ricordo degli insegnamenti di Teresa D’Avila che, fin da bambina, cerca il martirio per il desiderio di “vedere Dio” e di incontrarlo. Nelle sue parole: “Quando si vuole servire Dio sul serio il minimo che gli si possa offrire è il sacrificio della vita”. Dopo le interpellanze alle monache, e la loro ribadita fede professa, esse vengono raggruppate in un vecchio convento, poi mandate a Parigi con una denuncia che le accusa anche di arrestare il progresso dello spirito pubblico, accogliendo persone che poi vengono ammesse nella congregazione “lo Scapolare”. Imprigionate nella Conciergerie, il carcere della morte, nella festività della Madonna del Carmine, compongono, riscrivendo la marsigliese, delle lodi, delle quali alcuni versi recitavano così “Se a Dio dobbiam la vita/ per lui accettiam la morte”. Conseguentemente sono sottoposte all’esame del Tribunale in data 3 luglio. Tale istituzione tiene dei ritmi serrati, ovvero due sedute, contemporaneamente nella Sala della Libertà e nella Sala dell’Uguaglianza. L’accusatore pubblico è il noto: Fouquier-Tinville. Additate quali ribelli e sediziose, fautrici della tirannia. Le monache difendono il loro credo e, intenzionate a dissipare ogni dubbio, chiariscono che donano la loro vita a Dio, senza questioni di stampo politico. Vengono addirittura accusate di aver esposto il Santo Sacramento sotto un baldacchino a forma di manto reale, sintomo, secondo il giudice, di legame all’idea di sovranità reale, e perciò alla famiglia deposta di Luigi XVI.
Nello specifico l’aneddoto narra di come le suore dopo esser appellate quali fanatiche dall’accusatore ne chiesero il significato. Ciò provoca l’indignarsi dell’accusatore che inasprito le taccerà di puerili e legate a sciocche pratiche religiose. Le suore sostengono con vigore quanto fosse una consolazione morire per il loro Dio. Condannata a morte, la novizia, prima di salire al patibolo, bacia la statua della vergine congedandosi dalla madre priora. Vittime del secolo e di una ragione illuminata che senza la fede è divenuta sempre più oscura e feroce. Tale dramma, caratterizzato da tematiche di ordine politico sociale umano mistico e avvolto da un patetismo e sentimentalismo è un terreno fertile per germogli letterari e musicali. In particolare l’opera musicale di Poulenc (1899-1963), basata sul romanzo di Bernanos, è stata scritta negli anni 50, ed è impiantata su una trama scarna negli avvenimenti, ma nutrita di travagli individuali. L’incipit descrive il dialogo del cavaliere de la Force e suo padre marchese nella biblioteca, a proposito della sorte della sorella Blanche, vessata da una folla, nei disordini dell’aprile del 1789, un mese prima della riunione degli Stati Generali. Ella darà alla luce prematuramente suo figlio, per lo spavento, e esprimerà l’intenzione di chiudersi nel convento delle carmelitane a Compiégne. Si sente smarrita e disorientata da quel mondo in rivoluzione. Successivamente la madre priora la interrogherà a proposito della sua vocazione, ricordandole che un convento non è un rifugio dalla realtà e dalla responsabilità. Blanche mostra convinzione e entrerà a far parte del monastero. Le scene seguenti con la fedele compagna Constance, in preghiera nella cappella, la morte e la successione della nuova madre priora Madame Lidoine; il tutto nel clima esasperato delle degenerazione della compagine politico-sociale dilagante. Pathos che giunge nel climax nella decisione unanime di fare voto di martirio. Ma la figura di Blanche è sempre incerta e timorosa, fino alla sua fuga e ritorno nella casa paterna. Ella ha un ripensamento finale e si ricongiunge, facendosi largo tra la folla in delirio, alle consorelle al patibolo. Musicalmente: note senza tempo né luogo, in un immobilismo spirituale.
Una sorta di mistica attesa evocativa di una rivelazione. Il culmine esplode in un finale intriso di drammaticità, veemenza e accenti severi, che serba comunque una compostezza ieratica degna di un’epica senza tempo.
Di: Costanza Marana
Fonti:
“Il grande libro dei ritratti dei santi” di Antonio Maria Sicari, Jaca book, Milano, 1997;
“Dizionario dell’opera” a cura di Piero Gelli ed. Baldini&Castoldi;
“Breve storia della musica” di Massimo Mila, Giulio Einaudi editore, Torino, 1963
Discoteca di Stato Francis Poulenc “Il dialogo delle carmelitane” Riccardo Muti
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