Che il regime stalinista fosse una dittatura è cosa nota. Così come è cosa nota che tale regime sterminò milioni di persone. Quella di uccidere con facilità, del resto, è una prerogativa comune a tutti i regimi dittatoriali. L’Unione Sovietica poi poteva contare su un alleato formidabile: il freddo. A migliaia furono infatti deportati nei gulag siberiani, dove trovarono la morte a causa della fatica, degli stenti e della rigidità del clima. Ciò che forse molti non sanno, invece, è che ad essere perseguitati non furono soltanto gli oppositori politici, ovvi bersagli dello stalinismo, ma anche coloro che operavano al di fuori dei confini della politica. Primi fra tutti intellettuali ed esponenti del mondo accademico.
Questi ultimi, in particolare, erano prede assai facili. Se infatti l’uomo della strada può smettere di parlare tanto, i professori sono tenuti a fare pubblicazioni e a parlare in pubblico; ed ogni parola da loro scritta o pronunciata poteva essere interpretata come “ostile” dagli informatori del regime. Inoltre essi venivano guardati con sospetto perché si riteneva che avessero la possibilità di “traviare” le giovani menti, trasformandole magari in terroristi. In un processo del 1937 fu infatti affermato, come una cosa perfettamente normale, che l’organizzazione terroristica in Siberia arruolava i suoi membri “principalmente tra i giovani delle università”.
Dapprima i più colpiti furono gli umanisti, soprattutto storici e linguisti, ma poi le purghe si estesero anche agli scienziati. Per esempio, Landau, il principale studioso di fisica teorica dell’Unione Sovietica, fu sul punto di morire in prigione come “spia dei tedeschi” e fu solo grazie all’intercessione presso Stalin di un suo collega che fu liberato. Non tutti, però, furono così fortunati, come ci dice l’accademico Berg: “Vennero poi tempi difficili: il 1937, la perdita degli amici più intimi. Anch’io fui arrestato in base a una ridicola e stupida denuncia. Trascorsi in prigione esattamente novecento giorni. Fui liberato poco prima della guerra. Durante quegli anni, la radio-tecnologia soffrì un’enorme perdita. Istituti e laboratori furono chiusi, e la gente scomparve”. Il caso più tragicomico fu sicuramente quello di Sergej Korolev, il genio del primo programma spaziale russo. Al momento dell’arresto gli dissero: “Il nostro paese non ha bisogno dei tuoi fuochi d’artificio. O forse tu costruisci dei razzi per attentare alla vita del nostro leader?”.
Ad ogni modo, nessun settore fu risparmiato. L’ufficio meteorologico subì fin dal 1933 una violenta purga per non aver predetto il cattivo tempo dannoso per le colture. L’astronomia russa, che fino a quel momento aveva primeggiato nel mondo, fu devastata. Emblematico è il caso del Servizio Solare, istituito nel 1931 per studiare le macchie solari, che fu accusato di teorie antimarxiste.
Il prezzo più caro fra gli intellettuali, però, fu pagato dagli scrittori. Per comprendere la portata della persecuzione da loro subita, possiamo fare riferimento al Congresso degli Scrittori Sovietici. Questo si riunì per la prima volta nel pomeriggio del 17 agosto 1934 nella Sala delle Colonne, al Dam Sojuzov di Mosca e vi presero parte quasi settecento scrittori. Di questi soltanto cinquanta sopravvissero per assistere al secondo Congresso, che si tenne nel 1954. Secondo una stima recente ben il 90% degli scrittori deceduti in questo lasso di tempo fu vittima della repressione. Ma se si tiene conto anche degli esponenti letterari che non parteciparono al Congresso, i numeri salgono vertiginosamente: si ritiene che almeno in 2000 furono epurati, 1500 dei quali morirono in prigione o nei campi.
Ma che senso aveva tutto questo? Probabilmente aveva ragione la scrittrice Nadežda Mandel’štam, quando scriveva: “Lo scopo era quello di distruggere non solo il popolo, ma l’intelletto stesso”. Un popolo privo di intelletto è infatti senza dubbio più facile da governare.
Di: RLS Staff
Fonti:
Claude Bertin, I processi di Mosca, Ginevra, Edizioni Ferni, 1975.
Andrè Brissaud, Le “grandi purghe” di Mosca, Ginevra, Edizioni Ferni, 1973.