Innanzitutto è bene fare una riflessione sul nome della duchessa. Tre furono i luoghi in cui visse e tre furono i diversi nomi con cui si firmò. A Vienna, capitale dell’Impero Asburgico dove nacque il 12 dicembre 1791, fu battezzata col nome di Maria Luisa. A Parigi, dove giunse nell’aprile del 1810 come moglie di Napoleone Bonaparte, la chiamavano Marie-Louise. E quando, nel 1816, si trasferì in Italia dopo che il Congresso di Vienna le aveva assegnato il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, prese a firmarsi Maria Luigia. Risulta evidente, quindi, che possedesse una grande capacità di adattarsi ad ambienti, popoli ed usi diversi. Tuttavia, la volontà di fare di un luogo straniero la propria casa fu più forte al suo arrivo a Parma che a Parigi. Bisogna tener presente, infatti, che a portarla a Parigi era stato il matrimonio combinato con un uomo che aveva imparato ad odiare fin da adolescente. Quando Maria Luigia era poco più che una bambina, Napoleone era già in guerra con suo padre, l’imperatore Francesco I, sul quale ebbe definitivamente la meglio nella battaglia di Austerlitz (2 dicembre 1805). Il Sacro Romano Impero cessò così di esistere e Napoleone avvertì la necessità di avere degli eredi legittimi. La possibilità di dover diventare sua moglie spaventava la diciottenne austriaca, che scrisse al padre: “Nella gazzetta ho letto del divorzio di Napoleone dalla moglie; debbo confidarLe, babbo caro, che la cosa mi ha seriamente allarmata: il pensiero che io possa esser nel novero di quelle che gli verranno forse proposte in isposa non è un’eventualità inverosimile, la qual cosa mi ha indotto a farLe una confessione, che affido al Suo cuore paterno”. Ma le ragioni politiche ebbero la meglio e le nozze non si fecero attendere. Pur considerandolo “il diavolo”, tuttavia, Maria Luigia non respinse mai il marito, che anni dopo, in esilio all’Elba, avrebbe detto della loro prima notte di nozze: “Andai da lei ed essa fece tutto ridendo. Ha riso tutta la notte”.
Eppure, la volontà di sfruttare il trasferimento a Parma come modo per voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo della propria vita è evidente: “Il mio unico desiderio è di poter trascorrere qui la mia esistenza nella più gran tranquillità”, scrisse al padre. E ancora: “Il popolo mi ha accolto con tale entusiasmo che mi sono venute le lacrime agli occhi”. Sembra, quindi, che quello tra Maria Luigia e i parmigiani fosse stato un colpo di fulmine. Ma l’affetto e la stima nei suoi confronti erano destinati a crescere ancora, grazie anche ad alcune decisioni accorte, che denotano, nella duchessa, non solo grande raffinatezza, ma anche la mentalità politica di chi sa come riscuotere consensi. Prima fra tutte vi fu la scelta di vivere in una modesta palazzina settecentesca, che ora non esiste più, dinanzi all’ala orientale del Palazzo della Pilotta, rifiutando di stabilirsi in quella che era stata la residenza galante dei Farnese, Palazzo Ducale. Una scelta che si pone in perfetta sintonia con lo stile di vita semplice dei parmigiani, ben lontano dai fasti della corte parigina. E fu proprio questa semplicità a conquistarla, tanto da farle scrivere: “Non sono mai stata felice come ora”. Il suo programma politico, poi, colse nel segno, facendo leva sui punti forte della tradizione emiliana: “A Parma non è difficile vivere, a patto di saper dar ragione all’interlocutore in una discussione a carattere musicale o gastronomico (…). Ho nelle mani il modo di rendere felice quattrocentomila anime: di proteggere le scienze e le arti (…)”. E il modo per renderli felici ce l’aveva davvero. Maria Luigia era, infatti, una donna estremamente colta: poliglotta, dipingeva acquerelli, leggeva Dante, Ariosto e Tasso, scriveva resoconti di viaggi, suonava il piano e ascoltava Bellini e Rossini. Inoltre, volle imparare sia l’italiano che il dialetto parlato dai nobili. Ma fece anche qualcosa di molto più concreto: riportò nella Pinacoteca le opere prelevate da Napoleone, ampliò la Biblioteca, soprattutto la sezione museale, istituì un Conservatorio e fece costruire un teatro lirico, l’attuale Teatro Regio. Il Teatro Farnese era, infatti, in pessime condizioni e la duchessa decise di dotare la città di un’opera faraonica, costata 1.190.664 lire e inaugurata in sua presenza con un’ovazione nel 1829. La città rispose a queste sollecitazioni dando alla musica grandi nomi come Toscanini e Verdi. Quest’ultimo ricevette anche una borsa di studio da Maria Luigia, che ringraziò dedicandole l’opera “I lombardi alla prima crociata”.
Ma a Parma Maria Luigia non si dedicò solo al teatro e alla cultura. Qui la sua vita sentimentale divenne più turbolenta che mai. Nel 1821, tre mesi dopo la morte di Napoleone, sposò il conte austriaco Adam Adalbert Neipperg, dal quale aveva già avuto in segreto due figli, Albertina e Guglielmo. Questi morì, però, nel 1829 e nel 1834 la duchessa sposò l’amministratore Charles-René di Bombelles, inviato da Metternich. Tuttavia si trattava semplicemente di un matrimonio utilitaristico, che non le impedì di avere altri amanti: un tenore francese, il conte Luigi Sanvitale di Sala Baganza, prima precettore e poi marito di Albertina, e perfino il cuoco Rousseau, che forse l’aveva conquistata proprio con le sue abilità culinarie. Un’altro elemento che accomunava la duchessa austriaca e gli abitanti del Ducato era, infatti, l’amore per la buona tavola. Maria Luigia non si faceva mancare nulla: mangiava spesso i vermicelli e la pastina di Genova in brodo, faceva pic nic con parmigiano e salumi, per i quali istituì un importante mercato a Felino, ed era così ghiotta di dolci che chiamò a corte il più grande canditiere italiano dell’epoca, Vincenzo Agnoletti da Roma. Unica concessione d’Oltralpe, i cioccolatini che si faceva mandare appositamente da Parigi.
Ad ogni modo, la ragione principale dell’affetto dei parmigiani per questa donna dal viso perlaceo e dagli occhi azzurri è probabilmente da ricercare nel suo prodigarsi sincero per il bene del popolo. Molte furono, infatti, le iniziative volte a migliorarne le condizioni di vita. Fondò il Convitto di Maria Luigia, che riuniva la scuola dei nobili e il collegio dei borghesi, e rinnovò l’Accademia delle Belle Arti. Istituì l’Albergo dei Poveri e l’Ospizio della Maternità, destinato ad accogliere donne incinte senza marito. Inoltre, fece costruire il cimitero della Villetta e sostituì il Codice napoleonico con il “Codice Civile degli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla”, di notevole importanza per la storia del diritto italiano. Perfino ai primi moti risorgimentali rispose con mitezza: nel 1821 con un’amnistia, dieci anni più tardi andandosene a Piacenza in attesa che venisse ristabilito l’ordine e limitandosi a definire “ingrati” i suoi concittadini. Del resto, anche in questi momenti, l’ira del popolo non fu mai rivolta contro di lei, ma al limite contro i suoi ministri. Questa sua bonarietà fu derisa dal cugino, Francesco IV di Modena, che la definì “la Presidentissima della Repubblica di Parma”. E lo stesso tocco magico che Maria Luigia sembrava avere con i suoi concittadini, di certo lo aveva anche con le piante. Grande amante della natura, era solita concedersi gite in campagna e faceva arrivare piante da ogni parte del mondo per abbellire i parchi del Palazzo Ducale e della Reggia di Colorno. Per quest’ultima, in particolare, aveva elaborato un progetto grandioso, finalizzato a trasformarla in una Versailles all’italiana, ma, per mancanza di fondi, dovette limitarsi a rinnovare il parco, spendendo, già così, 140 mila franchi. Tra tutte le specie di piante, la duchessa prediligeva la Violetta di Parma. Nel 1815, dal castello viennese di Shönbrunn, scrisse alla sua dama d’onore a Parigi: “Vi prego di farmi tenere qualche pianta di violetta di Parma con la istruzione scritta per piantarle e farle fiorire; io spero che esse germoglieranno bene, poiché io divengo una studiosa di botanica, e sarò contenta di coltivare ancora questo leggiadro piccolo fiore…”. Che Parma e Maria Luigia fossero destinate ad incontrarsi? Chissà… Certo è che fu lei ad incoraggiare i frati del Convento dell’Annunziata a studiare come estrarre l’essenza di questo fiore. Il loro lavoro portò al risultato sperato e la Violetta diventò il profumo ufficiale di corte. Nel 1870, decenni dopo la scomparsa della duchessa, la formula segreta inventata dai frati passò a Ludovico Borsari, figlio di un falegname e proprietario in città di una barberia, il quale decise di lanciare l’essenza cara a Maria Luigia. Un’idea fortunata, che fece dell’azienda Borsari la più grande industria profumiera italiana dell’Ottocento e della Violetta di Parma un simbolo di sobria eleganza femminile, la cui fama si mantiene tutt’oggi intatta.
Maria Luigia, la “buona duchessa” che i parmigiani a distanza di generazioni portano ancora nel cuore, morì di pleurite reumatica il 17 dicembre 1847. Il rito funebre fu celebrato alla Vigilia di Natale e successivamente la duchessa compì il suo ultimo viaggio verso Vienna, scortata da una guardia di 150 ussari che il feldmaresciallo Josef Radetzky, comandante in capo delle truppe austriache in Italia, aveva inviato a Parma. Lei, che da straniera aveva saputo esprimere la quintessenza dell’essere parmigiani, abbandonò così per sempre l’Italia e fu sepolta nella Cripta dei Cappuccini a Vienna.
Di: RLS Staff
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