“Coelum non animum mutant qui trans mare currunt” (cambiano il cielo non l’animo quelli che attraversano il mare). Con questa celebre frase, tratta dall’Epistola I, Orazio polemizza con chi spera, cambiando aria, di trovare la felicità e la serenità d’animo che si vede precluse in patria. In sostanza, il poeta latino ci dice che non si può fuggire da se stessi e che non basta un semplice viaggio per mare per cambiare ciò che si è. Eppure, è innegabile che nel corso della storia numerose culture, anche molto diverse fra loro, si siano influenzate vicendevolmente. E oggi, vogliamo mostrarvi come la cultura italiana abbia esercitato un forte ascendente su quella russa, sopratutto a partire dal XIX secolo.
Se già nei secoli precedenti erano esistite relazioni fra i due paesi, sia dal punto di vista economico che culturale (si pensi agli architetti italiani che operarono a Mosca e San Pietroburgo), fu, tuttavia, nell’Ottocento che iniziò a farsi strada nella mentalità russa l’idea dell’Italia come di una terra mitica e paradisiaca, dove trovare ispirazione per i capolavori dell’arte e della letteratura, dove guarire dai mali del corpo e dello spirito e dove rifugiarsi d’inverno, in fuga dalle rigide temperature patrie. A fare da apri-strada a questa voglia d’Italia fu, già nel 1696, l’uomo chiamato progresso, Pietro I il Grande. Avendo egli stesso compiuto da giovane un viaggio di formazione in Europa, esortò con un editto i rampolli delle famiglie agiate a fare lo stesso. E l’Italia, vuoi per il clima, vuoi per la storia, vuoi per il patrimonio artistico, divenne in breve tempo la loro meta prediletta. I nomi illustri che soggiornarono nella penisola si sprecano. Eccone alcuni.
Roma, via Santo Isidoro, civico 17. Questo fu l’indirizzo dello scrittore Nikolaj Gogol, negli anni tra il 1837 e il 1841. In realtà, però, egli si innamorò dell’Italia ancor prima di mettervi piede e le dedicò uno dei suoi primi componimenti, nonché l’unico in versi: “Italia, magnificente paese! Per te l’anima geme, e si strugge: tu sei paradiso, tu piena letizia…Giardino dove tra il vapor dei sogni vivono Torquato e Raffaello ancora! Ti vedrò io, trepido d’attesa?” E quando finalmente la vide non ci fu alcuna disillusione, anzi ne parlò come la “patria della mia anima“, il luogo dove essa “viveva prima ancora che venisse alla luce“. Dell’Italia Gogol amò proprio tutto: il clima (“l’aria fa venire voglia di trasformarsi in un gigantesco naso, con narici grosse come secchi per farci entrare almeno settecento angeli“), il patrimonio storico e artistico (“tutto ciò che leggete nei libri, lo vedete qui davanti a voi“) e il suo popolo (“dotato in gran misura di senso estetico“). Inoltre, il soggiorno romano fu per lui estremamente produttivo. A Roma Gogol compose “Il ritratto” e “Il cappotto”, la summa della sua irriverente comicità, nonché il primo volume del poema “Le anime morte”, per cui trasse ispirazione dalla Divina Commedia di Dante.
Firenze, Piazza Pitti, civico 22. E’ qui che nel 1868 si stabilì un altro scrittore, Fëdor Dostoevskij, partito da Mosca con la moglie Anna per sfuggire ai creditori. Il soggiorno fiorentino durò un anno. Un anno che fu estremamente positivo per lo scrittore e non solo perché, come annotò la moglie, “Il cambiamento ebbe di nuovo un effetto benefico su mio marito e noi cominciammo ad andare insieme per chiese, musei e palazzi”, ma sopratutto perché in quell’anno nacque la loro prima figlia, Ljubov (“amore” in russo), e fu portato a termine uno dei romanzi più famosi della letteratura russa, “L’idiota”. Dostoevskij stesso avrebbe ammesso che questo progetto lo tormentava da tempo, perché era un’idea difficile quella di rappresentare un uomo completamente buono, una sorta di moderno Gesù Cristo. Eppure a Firenze riuscì nell’impresa.
Ancora più attivo nella penisola fu Anton Cechov, che visitò a più riprese, tra il 1891 e il 1894, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Pompei e salì addirittura sul Vesuvio. Anch’egli rimase profondamente colpito dall’Italia, tanto che la definì “paese delle meraviglie“.
Approdando al nuovo secolo troviamo un altro intellettuale russo traslato in Italia, Maksim Gorkij. Per lui, tuttavia, il belpaese non fu semplicemente meta prediletta per un soggiorno di piacere, ma anche terra d’esilio. Anzi, degli esili. Gorkij giunse infatti in Italia per la prima volta nel 1906, dopo essere stato esiliato dallo zar. Il 27 ottobre sbarcò a Napoli in veste non solo di scrittore, ma anche di socialista e oppositore al regime assolutista, cosa che non passò inosservata. Tanto fu il clamore e l’assedio di giornalisti e ammiratori, che il padre del realismo socialista riparò subito a Capri. L’isola iniziò così ad attirare scrittori e socialisti, che si recavano nella villa di Gorkij per discutere di letteratura e di rivoluzione. Questo fenomeno raggiunse dimensioni tali da preoccupare lo stesso Lenin, che per ben due volte si recò di persona nel Golfo di Napoli per incontrare il drammaturgo. Nel 1913 lo zar gli concesse un’amnistia e Gorkij fece ritorno in patria, solo per fuggire una seconda volta in Italia, a Sorrento, nel 1921, questa volta a causa delle persecuzioni leniniste. Infine, nel 1931, si ristabilì definitivamente in Russia, dove morì, rivolgendo però i suoi ultimi pensieri alla terra dell’esilio. Il suo medico avrebbe detto: “In Unione Sovietica non aveva più aria per respirare, aspirava appassionatamente a tornare in Italia“.
Se andiamo ancora avanti nel tempo, scopriamo che l’amore per l’Italia non rimase semplicemente una prerogativa degli intellettuali e dei ceti più abbienti, che potevano permettersi di recarvisi, ma si estese praticamente a tutto il popolo russo. Sebbene, infatti, la censura sovietica fosse particolarmente rigida, nella seconda metà del Novecento il cinema e la musica italiani riuscirono a superare la cortina di ferro e riscossero enorme successo in Urss. Negli anni Sessanta e Settanta il cinema neorealista italiano divenne un vero e proprio punto di riferimento culturale. Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Sofia Loren, Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni, Gina Lollobrigida e Vittorio De Sica venivano frequentemente invitati a Mosca e Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) e accolti come star. Basti pensare che quando, nel 1962, Eduardo De Filippo giunse per la prima volta in Unione Sovietica, i teatri di Mosca in cui furono proiettati i suoi film, anche in italiano con traduzione simultanea in russo, risuonarono del grido “Viva Eduardo, viva l’Italia!”.
Sorte analoga ebbe la canzone italiana, cui fece da apri-pista un personaggio paradossalmente poco conosciuto in Italia, ma tutt’oggi osannato in Russia, Robertino Loreti. All’inizio degli anni Sessanta un Robertino ancora adolescente conquistò l’Unione sovietica con la sua voce, arrivando poi a vendere più di 50 milioni di dischi. La sua popolarità raggiunse vette tali che Valentina Tereshkova, la prima donna cosmonauta, chiese di ascoltare le sue canzoni a bordo della navicella spaziale. Per non parlare poi del fatto che nel 1962 il presidente sovietico Kruscev accolse il presidente italiano Gronchi, in visita in Urss, affermando di essere lieto di dare il benvenuto al presidente dello stato che aveva dato i natali a Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Robertino. Nel 1980, poi, la televisione sovietica iniziò a trasmettere ogni anno la serata finale del festival di Sanremo, che costituiva una finestra sull’Occidente senza eguali, in quanto la maggior parte delle band rock e pop inglesi e americane di quegli anni venivano censurate, per via dei contenuti ritenuti antisovietici o troppo sessualizzati. Toto Cutugno, Adriano Celentano, Al Bano e Romina Power, Pupo, Ricchi e Poveri, Riccardo Fogli e gli altri divennero, così, dei veri e propri eroi nazionali e sono ancora oggi conosciutissimi e amatissimi. A chi fosse interessato ad approfondire questo argomento consiglio il film documentario “Italiani veri” di Marco Raffaini e Giuni Ligabue, vincitore del Biografilm Festival 2013.
Di: RLS Staff
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