Un amore proibito: Abelardo ed Eloisa

Tempo di lettura: 5 minuti
Di amori proibiti nella letteratura e nell’arte se ne trovano a bizzeffe, ma se molti esistono solo sulla carta e sulle tele, altri sono invece scaturiti dai cuori di persone in carne ed ossa, come Abelardo ed Eloisa. Giovane studentessa lei e brillante insegnante lui, i due sono i protagonisti di una relazione tormentata, divenuta possibile solo nella morte.

Ma procediamo con ordine. La nostra storia ha inizio nel 1116 a Parigi. Eloisa ha 17 anni, è stata affidata al fratello della madre, il canonico Fulberto, e studia nel convento di Argenteuil. L’abate di Cluny, la più importante abbazia d’Europa, la definisce “celebre per erudizione”. La ragazza, infatti, è dedita alle arti liberali, dalla grammatica alla retorica fino alla geometria e all’astronomia, e padroneggia perfettamente latino, greco ed ebraico. Abelardo, invece, ha 37 anni, è un chierico bretone e insegna teologia, logica e filosofia nella scuola che lui stesso ha fondato sul colle di Sainte Geneviève. Fulberto, vista la propensione della nipote per lo studio, decide che la sua cultura sarebbe stata ulteriormente arricchita dalle lezioni di Abelardo, divenuto in breve tempo il più celebre insegnante di Parigi. E così i due si incontrano per la prima volta. La distanza di vent’anni che li separa viene ben presto annullata. Se sia stato uno sguardo, il tocco di una mano o una parola sussurrata a far scoppiare la scintilla, non lo sapremo mai. Quel che è certo è che i due si innamorano immediatamente l’uno dell’altra. “Eloisa aveva tutto ciò che più seduce gli amanti”, scrive Abelardo. “Avevi due cose in particolare che ti rendevano subito caro: la grazia della tua poesia e il fascino delle tue canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu eri […] Eri giovane, bello, intelligente”, scrive invece Eloisa. Spinto dal desiderio, il chierico arriva addirittura a chiedere di stabilirsi da Fulberto, il quale ingenuamente accetta, onorato di avere sotto il suo tetto un personaggio tanto stimato. E così i due, ormai incapaci di resistere, si lasciano andare alla passione: “Col pretesto delle lezioni ci abbandonammo completamente all’amore, lo studio delle lettere ci offriva quegli angoli segreti che la passione predilige. Aperti i libri, le parole si affannavano di più intorno ad argomenti d’amore che di studio, erano più numerosi i baci che le frasi; la mano correva più spesso al seno che ai libri… il nostro desiderio non trascurò nessun aspetto dell’amore, ogni volta che la nostra passione poté inventare qualcosa di insolito, subito lo provammo, e quanto più eravamo inesperti in questi piaceri tanto più ardentemente ci dedicavamo a essi senza stancarci”.

L’idillio non sembra, però, destinato a durare per sempre, come vorrebbero i due amanti. Fulberto scopre la verità e, infuriato, caccia il chierico. Ma ormai è troppo tardi. Eloisa è incinta. La ragazza comunica la notizia ad Abelardo e questi decide di non avere altra scelta se non quella di portarla via con sé. Approfittando di un’assenza di Fulberto, i due scappano insieme in Bretagna e si stabiliscono nel paese natale di lui, Paillet, ospiti della famiglia. E’ qui che, alla fine del 1116, Eloisa dà alla luce un figlio, cui viene dato il nome di Astrolabio (rapitore delle stelle). Abelardo, però, è divorato dai sensi di colpa. Ritiene di aver fatto un torto a Fulberto e si dice disposto a sposarsi, a condizione che il matrimonio resti segreto, in quanto costituirebbe una violazione delle regole ecclesiastiche. Eloisa, però, non ne vuole sapere: “Quante lacrime verserebbero coloro che amano la filosofia a causa del matrimonio… cos’hanno in comune le lezioni dei maestri con le serve, gli scrittoi con le culle, i libri e le tavolette con i mestoli, le penne con i fusi? Come può chi medita testi sacri e filosofici sopportare il pianto dei bambini, le ninne nanne delle nutrici, la folla rumorosa dei servi?”. Tuttavia alla fine Abelardo riesce ad avere la meglio e i due, tornati a Parigi, si sposano in presenza di Fulberto e di pochi amici.

Ad ogni modo, come in ogni tragedia d’amore che si rispetti, è ai familiari che spetta il ruolo di antagonisti. E ben presto la famiglia di Eloisa, non tenendo fede alla parola data, divulga la notizia del matrimonio. I due sposi negano con decisione e per evitare scandali Abelardo manda Eloisa nel monastero in cui era stata educata, Argenteuil. Al che i familiari di lei vanno su tutte le furie, perchè pensano che l’abbia costretta a farsi monaca, e decidono di vendicarsi. Assoldati tre malviventi, ordinano loro di castrare Abelardo. Questo triste evento fa sì che le strade dei due amanti si separino definitivamente. Eloisa prende i voti e Abelardo, divenuto un eunuco, ritorna alla sua vecchia vita di chierico e di insegnante. I due da vivi non si vedranno mai più. Ma ciò non basta a spegnere quella fiamma che da più di un anno arde dentro di loro, divorandone il corpo e lo spirito in modo tanto doloroso quanto piacevole. Pur non potendone più vedere il bel viso, Abelardo continua a vegliare sulla giovane moglie. Quando le monache di Argenteuil, tra cui vi è anche Eloisa, vengono sfrattate, con le proprie mani costruisce per loro un eremo, cui dà il nome di Paràclito (Spirito Santo). Eloisa, in seguito, inizia a scrivergli delle lettere, in cui rievoca quella passione che non riesce nè a condannare nè tanto meno a dimenticare: “Quei piaceri ai quali entrambi ci dedicammo totalmente quando eravamo amanti, furono tanto dolci per me che non posso dispiacermene, né essi possono svanire dalla mia memoria, nemmeno un poco. […]Queste visioni non mi risparmiano nemmeno quando dormo. Persino durante la solennità della messa, quando la preghiera deve essere più pura, le immagini oscene di quelle voluttà si impossessano della mia infelicissima anima al punto che penso più ai piaceri sensuali che alla preghiera.” E ancora: “Io, che dovrei piangere su quello che ho fatto, sospiro invece per ciò che ho perduto, e non solo quello che abbiamo fatto insieme, ma i luoghi, i momenti in cui l’abbiamo fatto sono talmente impressi nel mio cuore che li rivedo con te in tutti i particolari e non me ne libero nemmeno durante il sonno.” Abelardo, dal canto suo, non può assecondarla. Consapevole del fatto che l’amore carnale e la vita coniugale siano stati loro negati per sempre, la invita a cercare conforto nello studio e nella preghiera. Eloisa, però, non sembra darsi pace: “Il piacere che ho conosciuto è stato così forte che non posso odiarlo”, ribadisce. E si chiede: “Perché la sublimazione si dovrebbe raggiungere soltanto annichilendo i sensi e il sentimento d’amore che si prova verso un’altra persona?”. Ma Abelardo è irremovibile. Le ricorda le posizioni che occupano, rispettivamente di abate e di badessa, e per convincerla a lasciar perdere arriva anche ad usare parole dure: “Per me l’amore che ci avviluppava entrambi, nelle catene del peccato, era soltanto concupiscenza, e non merita il nome di amore. Soddisfare su di te la mia miserabile passione; ecco tutto quello che amavo.” 

Eppure, quasi a dimostrare l’infondatezza delle sue stesse parole, è proprio ad Eloisa che corre in punto di morte il pensiero di Abelardo: “Mi vedrai presto, per fortificare la tua pietà con l’orrore di un cadavere e la mia morte, ben più eloquente di me, ti dirà che cosa si ama quando si ama un uomo”. Muore il 21 aprile 1142 e viene sepolto nel suo Paràclito, dove ad accoglierne le spoglie c’è Eloisa. E quando, nel 1164, giunge anche la sua ora, la badessa chiede una cosa soltanto: di essere sepolta con l’uomo che nè la lontananza nè la fede sono riuscite ad impedirle di amare. Una leggenda vuole che le braccia di Abelardo si siano aperte al momento della deposizione del cadavere della moglie. E così finalmente, dopo essere stati separati dalla vita, i due amanti sono riuniti dalla morte.


Di: RLS Staff

Fonti:
Web

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *