Oggi è evidente la crescita di tutti quei movimenti/partiti chiaramente avversi a quelle dinamiche che hanno contraddistinto i governi di questi ultimi anni. Le popolazioni si rivelano sempre più inclini a sostenere le battaglie contro quell’ “establishment” che per anni non è riuscito ad interpretare il crescente malcontento generale. La determinazione nel sostenere più la volontà di Bruxelles che quella nazionale e l’incapacità di gestire un buon controllo dei flussi migratori hanno involontariamente causato la nascita e la crescita di tali movimenti, lontani dalle logiche centralistiche dell’Unione Europea. Non è un caso se ambiscano al governo dei rispettivi paesi forze alternative ed euroscettiche come Alternative für Deutschland in Germania, Front National in Francia, Ukip in Inghilterra e Movimento 5 Stelle in Italia.
Una situazione quella Europea che richiama alla memoria, seppur con le dovute differenze (in primis l’alto tasso di violenza presente allora), la realtà della Repubblica di Weimar, primo vero esperimento democratico nel continente in seguito alla Grande Guerra. La città di Weimar poteva essere considerata certamente un simbolo della fioritura culturale, in primis per il risveglio artistico nato grazie alla rinomata scuola Bauhaus, ma anche perché legata a molti illustri personaggi del passato quali Goethe, Schiller e Nietzsche. Inoltre il nome della città è inevitabilmente collegato a quella Costituzione redatta nel 1919, all’indomani della nascita della Repubblica, la quale riuscì ad introdurre il suffragio universale nel panorama politico tedesco. Nonostante però tali eccellenze l’esperienza post-bellica germanica non consentì una stabilità né in ambito politico né in quello economico, concludendo il suo percorso solamente quattordici anni dopo e spianando la strada all’egemonia Nazionalsocialista. Quegli anni furono infatti segnati da una perenne ingovernabilità (paragonabile a quella decennale vigente in Italia) causata da una legge puramente proporzionale che, attraverso l’assenza di sbarramento percentuale, consentiva anche l’influenza politica delle piccole formazioni partitiche. Si assistette perciò ad una serie di governi presieduti da grandi coalizioni, formate principalmente dal Partito Socialdemocratico e dal Centro cattolico. Fino alla metà degli anni ’20 aumentò il tasso di inflazione e diminuì il valore della moneta, tutto mentre la disoccupazione sfiorava i tre milioni di abitanti. Solamente una serie di prestiti e aiuti finanziari Statunitensi permisero una ripresa dell’economia teutonica, la quale però dovette ben presto fare i conti con l’inizio della grande crisi del 1929.
L’inevitabile ritiro dei capitali Usa segnò un nuovo crollo economico a cui tentò di far fronte il governo guidato dal cancelliere Heinrich Brüning. Fu proprio con l’elezione di Brüning che crebbe sempre più il malcontento popolare, accresciuto principalmente da un rigore economico volto alla riduzione dei salari e degli aiuti ai disoccupati. Così come oggi possiamo assistere alla già citata crescita dei cosiddetti “populismi”, proprio in quegli anni di rigore e instabilità crebbero maggiormente il Partito Nazionalsocialista e quello Comunista, ovvero i principali sostenitori di una politica alternativa al sistema di potere vigente allora. I governi social-liberali presenti oggi in Europa (spesso anch’essi presieduti da grandi coalizioni bipolari) hanno preso atto di una crescente delusione delle aspettative popolari, proprio come avvenne negli anni di Weimar. Non è un caso se in quegli anni si svilupparono una serie di movimenti culturali invisi all’esperienza della Repubblica e riconoscibili nella cosiddetta “Rivoluzione Conservatrice”. I principali esponenti di tale opposizione muovevano aspre critiche al sistema simbolo del parlamentarismo e focalizzavano la loro attenzione sull’egemonia dei partiti e la conseguente corruzione che ne derivava. Secondo lo scrittore Arthur Moeller van den Bruck il panorama politico necessitava di un vero movimento non più riconoscibile nelle logiche “destra/sinistra”, che sarebbe riuscito a garantire al popolo lo status di soggetto politico portante, così come sosteneva anche il filosofo Carl Schmitt. Poiché il sistema liberaldemocratico, sempre secondo tale corrente di pensiero, avrebbe trasformato l’individuo (e non il popolo) nel soggetto principale della politica, ecco che l’idea di “sistema” perdeva ogni connotazione neutrale, evidenziando i limiti di un poco efficiente parlamentarismo e della selvaggia supremazia partitocratica.
È evidente come la filosofia di pensiero della “rivoluzione conservatrice” di quei tempi possa essere accomunata alle forme ideologiche attuali, sempre più incentrate su un distacco dalla politica “tradizionale” e volte ad ottenere forze elettorali capaci di incarnare una “terza via”, disconoscendosi da quel sistema tanto avverso e impopolare già negli anni ’20. L’instabilità politica, l’alto tasso di disoccupazione e la conseguente sfiducia nei partiti “tradizionali” sono state figlie della Repubblica di Weimar come lo sono oggi di una Europa troppo distante dai sentimenti nazionalpopolari. Le élites occidentali rischiano di soccombere a causa dei propri fallimenti, richiamando alla memoria i passi falsi del passato che trasformarono Weimar da ambiziosa protagonista democratica post-bellica a simbolo di decadimento del sistema. Un sistema che, come affermava lo stesso Moeller van den Bruck, aveva seppellito le culture e distrutto le patrie.
Di: RLS Staff
Fonti:
“Il tempo e la Storia”, programma Rai di approfondimento storico (“La Repubblica di Weimar”)
http://www.sguardomobile.it/spip.php?article62 (“La crisi dei partiti e del parlamentarismo”)