Il caos post-sovietico nel Caucaso: dal conflitto georgiano-abcaso alla pulizia etnica

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Il territorio caucasico, dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, iniziò a presentare una situazione geopolitica molto frammentaria: il processo di nascita di molte Nazioni sovrane caucasiche, slegate ormai dal contesto sovietico, farà insorgere grandi problematiche interne, dovute principalmente agli scontri tra la moltitudine di fazioni etniche presenti, in particolare, quelle delle micro e macro-regioni in cui da decenni rivendicavano l’indipendenza dalla Federazione Russa.

L’Abcasia, un piccolo lenzuolo di terra che si trova nel nord-ovest dell’attuale Georgia, al confine con la Russia, è stato protagonista di questi eventi contemporanei, alcuni dei quali molto cruenti, anche se poco attrattivi per i mass media. Tuttavia sono successi fatti che hanno sconvolto le comunità autoctone coinvolte e che continuano a rendere precario l’equilibrio di tutta l’intera area caucasica.

La Georgia, dopo la dissoluzione dell’URSS, dichiarò la propria indipendenza il 9 aprile del 1991, annettendo all’interno dei propri confini nazionali anche la piccola regione dell’Abcasia, dopo un fallimentare referendum popolare. Gli abitanti della regione si opposero veemente al processo di “georginizzazione”, facendo ricorso ad atti violenti, soprattutto nella pseudo-capitale Sukhumi. Questa regione, infatti, rivendicava dal ‘78 un suo Stato Repubblicano Indipendente, ma l’intervento anti-sovversivo prima dei sovietici, poi dei georgiani farà svanire la speranza di una sua realizzazione.

Dopo la forzata annessione gli abcasi non persero comunque la volontà di rivendicare la propria sovranità e di lì a poco, questa, sfociò in un grande conflitto civile che perdurerà dal 1991 al 1993. Dal 1991 al 1992 avvennero episodi isolati di protesta violenta contro il governo georgiano, sempre meno paziente nei confronti dei ribelli abcasi. Questi, tuttavia, dal ’92 presero posizioni più estremiste e nel luglio di quell’anno organizzarono un violento attacco contro i militari georgiani, invadendo gli edifici governativi nella capitale regionale Sukhumi, mietendo molte vittime, in gran parte soldati.

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I ribelli ormai convintisi vincitori dichiararono l’indipendenza formale della Repubblica di Abkhazia, ma il loro entusiasmo venne ben presto ridimensionato dalla controffensiva georgiana che nel giro di qualche settimana riuscì a rimpadronirsi di una buona fetta di territori abcasi, compresa la capitale. Dopo continue tensioni si raggiunse un accordo con l’intervento della neonata Russia post-sovietica, il 3 settembre 1992, firmato da entrambe le fazioni.

Ma la popolazione abcasa separatista, guidata dai suoi gruppi paramilitari, reclamava a gran voce la possibilità di riscatto e gruppi di ribelli violarono la precedente amnistia per macchiarsi di crimini orrendi contro la popolazione inerme. Nella regione il 45% della popolazione era composta da georgiani su cui i separatisti riversarono le loro ambizioni indipendentiste fallimentari, accompagnate quindi da una buona serie di frustrazioni e risentimenti. Da ottobre in poi vennero conquistate zone strategiche dell’area dai paramilitari abcasi e dai loro alleati russi (alta era la presenza anche di soldati ceceni): le conseguenze della loro invasione furono disastrose per la cittadinanza di città e piccoli villaggi come Gagra, Ochamchira e Khamani.

In quest’ultimi vennero commessi molti stupri a danni di giovani donne, rinchiuse in dei campi di concentramento e di monache ortodosse, poi fucilate insieme a chierici e bambini. L’attività prediletta rimaneva comunque il rastrellamento e l’uccisione immediata di georgiani o di chi, anche non georgiano, li proteggeva. Il numero di vittime ben presto iniziò a salire: nella cittadina di Gagra nella sola giornata del 1° ottobre vennero decapitati nello stadio cittadino circa 1500 tra giovani e bambini, le teste utilizzate per giocare a calcio e i corpi gettati in una grande fossa comune. Le razzie, i saccheggi, gli stupri, i massacri non si arrestarono per molto tempo e coinvolsero anche Sukhumi, in un primo momento abbandonata dopo un fallito attacco, per poi essere riposta nuovamente sotto il comando dei separatisti.

Questa guerra, ormai diventata una vera e propria pulizia etnica, lentamente sorse dalle pagine dei giornali stranieri, arrivando fino ai vertici dalla Comunità Internazionale i quali cercarono da subito una mediazione, intavolando delle trattative per concludere il più presto possibile la mattanza. Il 27 luglio 1993 venne siglato un accordo a Sochi il quale, oltre a prevede il cessate il fuoco, includeva anche il monitoraggio dell’area da parte degli osservatori ONU con la missione UNOMIG (United Nations Observer Mission in Georgia), con l’obbligo delle truppe locali di collaborare con questi.

Nel maggio 1994 la Georgia e le autorità abcase siglarono un ulteriore accordo, ristabilendo a fatica un ordine politico e sociale nella regione. I lasciti di questa sanguinosa razzia etnica sono una serie di numeri che confermano un vero e proprio genocidio, come riconosciuto dall’OSCE: in totale vennero uccisi tra le 10.000 e le 30.000 persone, in gran parte giovani, diminuendo drasticamente la percentuale giovanile georgiana. I sopravvissuti, circa 40.000, hanno subito poi le conseguenze di nuovi conflitti tra il Governo Georgiano e altre autorità separatiste caucasiche e dell’inefficienza statale, incapace di risollevare l’area se non continuando a richiedere aiuto all’ONU. Ancora oggi il sentimento indipendentista è più vivo che mai.

Di: Simona Amadori

Fonti:
Andrea Giannotti, L’orso e la fortezza: il Caucaso meridionale nella politica estera della Federazione Russa, Soveria Mannelli : Rubbettino, Rivista di politica : trimestrale di studi, analisi e commenti : 2, 2015.
Steve LeVine, Il petrolio e la gloria, traduzione di Enrico Monier, collana Inchieste, Fagnano Alto, Editrice il Sirente, 2009.

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