Il panorama geo-politico sudanese prima, durante e dopo il secondo conflitto civile

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Il continente africano ha assistito e assiste tutt’ora a grandissimi e cruenti conflitti interni, dovuti principalmente al lascito coloniale. Una regione in particolare, quella dell’attuale Sud-Sudan, nel corso degli ultimi decenni è stata coinvolta  nella più grande e sanguinosa guerra civile del secondo dopoguerra. Nato nel 2011, il Sudan del Sud precedentemente faceva parte della Repubblica del Sudan (comprendente anche il Nord della Nazione) nata nel 1955 dopo l’approvazione del parlamento inglese. Dopo un primo conflitto civile durato dall’indipendenza fino al 1972 principalmente per cause religiose (il nord musulmano e il sud cristiano), la situazione socio-economica del paese era totalmente disastrata da carestie, profughi e continui ricambi di regimi militari, ma nonostante questa situazione di disagio il periodo precedente alla seconda guerra civile risultò abbastanza pacifico. Il continente africano ha assistito e assiste tutt’ora a grandissimi e cruenti conflitti interni, dovuti principalmente al lascito coloniale.

Una regione in particolare, quella dell’attuale Sud-Sudan, nel corso degli ultimi decenni è stata coinvolta  nella più grande e sanguinosa guerra civile del secondo dopoguerra. Nato nel 2011, il Sudan del Sud precedentemente faceva parte della Repubblica del Sudan (comprendente anche il Nord della Nazione) nata nel 1955 dopo l’approvazione del parlamento inglese. Dopo un primo conflitto civile durato dall’indipendenza fino al 1972 principalmente per cause religiose (il nord musulmano e il sud cristiano), la situazione socio-economica del paese era totalmente disastrata da carestie, profughi e continui ricambi di regimi militari, ma nonostante questa situazione di disagio il periodo precedente alla seconda guerra civile risultò abbastanza pacifico. Tuttavia con l’arrivo degli anni ’80, il presidente Gaafar Muhammad an-Nimeiry prenderà una decisione che sconvolgerà nuovamente l’intero paese: imporre la Shari’a, il diritto islamico, accompagnato da uno stato di emergenza che prevedeva l’istituzione di speciali corti di giustizia pronte a condannare ogni non musulmano del nord. L’atto preoccupò notevolmente le popolazioni cristiane meridionali, evidentemente diventate il nuovo bersaglio del Presidente, che nel giro di poco smantellò anche il governo semi-autonomo sudista, violando così gli accordi di Addis Abeba, presi nel 1972 per porre fine al primo conflitto civile, che concesse al sud una relativa autonomia, essendo a prevalenza non islamica.

I militari sudisti non esitarono quindi a far sentire la loro voce, comandati dal colonnello cristiano John Garang, il quale, come tanti giovani del sud, era entrato nell’esercito e aveva combattuto durante la prima guerra civile. Garang darà vita ad un nuovo fronte militare, battezzato come Esercito di Liberazione del Sud Sudan (Sudan People’s Liberation Army o SPLA), raggruppando circa 3000 uomini pronti a combattere. Garang fu un abile diplomatico, garantendosi l’appoggio di molte nazioni straniere, prevalentemente comuniste, come Unione Sovietica, spacciando i suoi contingenti per movimenti di stampo marxista; e occidentali, vendendola come guerra religiosa, contro la maggioranza cristiana del paese. Prese avvio così il secondo conflitto civile sudanese, principalmente disputata dai due fronti nel territorio meridionale, anche se prese poi ad espandersi nelle regioni delle Montagne di Nuba e in quelle del Nilo Azzurro.

Nonostante la deposizione di Nimeiry e l’istituzione nel 1986 di un nuovo governo democratico guidato da Al Sadig Al Mahdi, del partito Umma, lo SPLA continuava a guerreggiare e la fine della guerra risultò a tutti molto lontana. Ancora di più quando nel 1989 fu ordito un nuovo colpo di stato che portò al potere il Fronte Nazionale Islamico (National Islamic Front o NIF), guidato da Omar al-Bashir e Hassan al-Turabi, i quali istituirono nuovamente un regime di stampo militare, rincarando l’offensiva contro i ribelli di Garang. In appoggio a quest’ultimo furono inviate truppe dalle nazioni vicine (Eritrea, Etiopia e Uganda) decise a porre fine al conflitto favorendo la maggioranza cristiana. Il sostentamento non era solamente militare, ma anche economico e logistico: queste nazioni misero a disposizione dello SPLA campi di addestramento e ingenti somme di denaro (tra cui 20 milioni di dollari arrivati dagli Stati Uniti, decisi a sostenere la fazione sudista senza essere coinvolti direttamente in loco).

Alla fine degli anni ’90 la guerra era ancora più che attiva nelle regioni coinvolte. Nuovamente i paesi confinanti decisero di intervenire, questa volta cercando di risolvere la questione attraverso un iter pacifico: Egitto e Libia promossero i colloqui, ma lo SPLA non appoggiò tale iniziativa. Nel 2000 una grande siccità inasprirà ancora più seriamente il panorama geo-politico: fu promosso l’intervento di aiuti umanitari internazionali per l’estenuata popolazione, ridotta drasticamente da guerra ed epidemie. Tra il 2003 e il 2005 i colloqui tra ribelli sudisti e governo nordista ripresero, per poi svilupparsi nell’accordo di Navaisha, i cui termini prevedevano uno statuto autonomo per il Sud per sei anni, a cui sarebbe seguito nel 2011 un referendum popolare volto a confermare a livello internazionale tale autonomia. Garang diventò vice-presidente in questo lasso di tempo, ma un mese dopo la sua elezione, si schiantò con il suo elicottero di ritorno dall’Uganda dopo una visita diplomatica. Con ogni probabilità fu architettato il suo omicidio, che stranamente non scosse il clima pacifico inaugurato in Kenya il 9 gennaio 2005. Dopo 22 anni di sangue, il bilancio della mattanza politico-religiosa della seconda guerra civile sudanese ha dato vita a 2 milioni di morti.  Attualmente il Sudan è tornato ad essere una terra relativamente stabile, anche se la questione più recente del Darfur non è ancora stata risoluta, creando nuovamente gravi tensioni sociali. Tuttavia con l’arrivo degli anni ’80, il presidente Gaafar Muhammad an-Nimeiry prenderà una decisione che sconvolgerà nuovamente l’intero paese: imporre la Shari’a, il diritto islamico, accompagnato da uno stato di emergenza che prevedeva l’istituzione di speciali corti di giustizia pronte a condannare ogni non musulmano del nord. L’atto preoccupò notevolmente le popolazioni cristiane meridionali, evidentemente diventate il nuovo bersaglio del Presidente, che nel giro di poco smantellò anche il governo semi-autonomo sudista, violando così gli accordi di Addis Abeba, presi nel 1972 per porre fine al primo conflitto civile, che concesse al sud una relativa autonomia, essendo a prevalenza non islamica.

I militari sudisti non esitarono quindi a far sentire la loro voce, comandati dal colonnello cristiano John Garang, il quale, come tanti giovani del sud, era entrato nell’esercito e aveva combattuto durante la prima guerra civile. Garang darà vita ad un nuovo fronte militare, battezzato come Esercito di Liberazione del Sud Sudan (Sudan People’s Liberation Army o SPLA), raggruppando circa 3000 uomini pronti a combattere. Garang fu un abile diplomatico, garantendosi l’appoggio di molte nazioni straniere, prevalentemente comuniste, come Unione Sovietica, spacciando i suoi contingenti per movimenti di stampo marxista; e occidentali, vendendola come guerra religiosa, contro la maggioranza cristiana del paese. Prese avvio così il secondo conflitto civile sudanese, principalmente disputata dai due fronti nel territorio meridionale, anche se prese poi ad espandersi nelle regioni delle Montagne di Nuba e in quelle del Nilo Azzurro.

Nonostante la deposizione di Nimeiry e l’istituzione nel 1986 di un nuovo governo democratico guidato da Al Sadig Al Mahdi, del partito Umma, lo SPLA continuava a guerreggiare e la fine della guerra risultò a tutti molto lontana. Ancora di più quando nel 1989 fu ordito un nuovo colpo di stato che portò al potere il Fronte Nazionale Islamico (National Islamic Front o NIF), guidato da Omar al-Bashir e Hassan al-Turabi, i quali istituirono nuovamente un regime di stampo militare, rincarando l’offensiva contro i ribelli di Garang. In appoggio a quest’ultimo furono inviate truppe dalle nazioni vicine (Eritrea, Etiopia e Uganda) decise a porre fine al conflitto favorendo la maggioranza cristiana. Il sostentamento non era solamente militare, ma anche economico e logistico: queste nazioni misero a disposizione dello SPLA campi di addestramento e ingenti somme di denaro (tra cui 20 milioni di dollari arrivati dagli Stati Uniti, decisi a sostenere la fazione sudista senza essere coinvolti direttamente in loco).

Alla fine degli anni ’90 la guerra era ancora più che attiva nelle regioni coinvolte. Nuovamente i paesi confinanti decisero di intervenire, questa volta cercando di risolvere la questione attraverso un iter pacifico: Egitto e Libia promossero i colloqui, ma lo SPLA non appoggiò tale iniziativa. Nel 2000 una grande siccità inasprirà ancora più seriamente il panorama geo-politico: fu promosso l’intervento di aiuti umanitari internazionali per l’estenuata popolazione, ridotta drasticamente da guerra ed epidemie. Tra il 2003 e il 2005 i colloqui tra ribelli sudisti e governo nordista ripresero, per poi svilupparsi nell’accordo di Navaisha, i cui termini prevedevano uno statuto autonomo per il Sud per sei anni, a cui sarebbe seguito nel 2011 un referendum popolare volto a confermare a livello internazionale tale autonomia. Garang diventò vice-presidente in questo lasso di tempo, ma un mese dopo la sua elezione, si schiantò con il suo elicottero di ritorno dall’Uganda dopo una visita diplomatica. Con ogni probabilità fu architettato il suo omicidio, che stranamente non scosse il clima pacifico inaugurato in Kenya il 9 gennaio 2005. Dopo 22 anni di sangue, il bilancio della mattanza politico-religiosa della seconda guerra civile sudanese ha dato vita a 2 milioni di morti.  Attualmente il Sudan è tornato ad essere una terra relativamente stabile, anche se la questione più recente del Darfur non è ancora stata risoluta, creando nuovamente gravi tensioni sociali.

Di: Simona Amadori

Fonti:
Web

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