Una società in buona fede

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Provate ad immaginare con me una donna cinquantenne, madre e moglie di un uomo reduce di guerra. Bene! Provate ad immaginarla sola e spaventata di fronte al cambiamento culturale del sessantotto italiano. Occhi vitrei, mani screpolate, un passato legato agli orrori di una guerra atroce, espressione spossata, troppi figli da badare, troppi sogni da dimenticare, e la musica che non accompagna più con leggerezza, quelle mansioni che apparivano adeguate al ruolo che la società aveva costruito, così per la donna, così per l’uomo.

Era giovane e libravano nelle sue cavità uditive canzoni leggere dalle morbide melodie, nelle quali rintracciare quell’aria di perfezione e di ottimismo che annegava le macchie di privazione che lasciavano marcire gli intenti, e all’indomani di poco più di trent’anni, la radio, quella stessa che la rendeva ad un futuro di madre e moglie fedele, le sputava in faccia quanto misera fosse quella sua condizione di donna priva di desideri e sogni, chiusa nello scrigno di un silenzio che le strappava dal cuore il battito. D’improvviso si era passati da Ciribiribin” del Trio Lescano, da quell’allegria atrocemente in contrasto con i temibili morsi della fame, e tuttavia unico spiraglio di luce nell’oscurità dei rifugi lugubri nei quali, era costretta rintanarsi per scampare alla morte, alle vibranti note di canzoni quasi sfacciate, attaccate alle dipinte labbra di una giovane donna, dai fianchi troppo stretti per essere una madre prolifica.

“Tu mi fai girar tu mi fai girar come fossi una bambola poi mi butti giù poi mi butti giù come fossi una bambola Non ti accorgi quando piango quando sono triste e stanca tu pensi solo per te”

Attonita e stranita, osserva quella luce di libertà che irradia gli occhi di giovani menti, senza poterne fruire in prima persona. Urlano, pretendono, squarciano il muro di silenzio assenso istituzionale, smuovendo le fondamenta di una società legata ai sacri valori della famiglia patriarcale, laddove inquadrare la donna come mansueto animale domestico, alle dipendenze di uomini distanti, dallo spirito perso in un qualche campo di battaglia nel quale l’ombra di un’eco di morte li abbia pervasi al punto da lasciarli ancora lì a fissare il lento dissolversi dei fumi di un’esplosione. Il tempo trascorre seguendo regole dettate da ataviche convinzioni,uniche certezze in un mondo di disillusioni, laddove le ferite sanguinolente di una guerra nella quale immaginarsi sconfitti e vigliacchi, bruciano più degli strascichi di una menomazione da campo di battaglia. L’ingegneria escogita nuovi modi per meccanizzare il lavoro e dunque aumentare la produzione, la casalinga moderna può fruire di nuovi aggeggi in grado di rendere più veloci e semplici lavori prima metodici, devastando quelle pacate e laboriose abitudini laddove la pazienza era l’unica compagna di fatiche. Il frullatore frulla, il forno cuoce, la lavatrice lava, e le mani sanguinano ancora di lisciva e cenere, le parrucche fremono sui capi delle signore per bene, e la nostra donna casalinga e antimoderna, intreccia ancora il manto di capelli, ormai segnato da fili argentei, in uno stretto e avito chignon. Non ricorre al parrucchiere, non usa il phon, aborrisce quella tecnologia diabolica che teme e odia, preferisce distendere il capo al sole, lasciandosi pervadere da quel calore immortale e vivo.

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La donna moderna manifesta, stringendo nelle mani “La mistica della femminilità” di Betty Friedan, nel quale saggio, la studiosa, analizza la donna americana depressa e frustrata da una società che ne relega le facoltà a madre e moglie perfetta, semplificandone le capacità cognitive al punto da impoverirne il bagaglio culturale. Una statistica, infatti, stabilì che solo il 35% delle donne americane degli anni sessanta, frequentava scuole di specializzazione superiore, e che di contro, il restante 65% testimoniava di ragazzine divenute mogli e madri ancor prima d’aver compiuto il ventesimo anno d’età. Questo senso di frustrazione generazionale avrebbe portato le donne a desiderare d’essere uomini al fine di ottenere quelle possibilità negate, una bramosia inconscia che motivava deleterie dipendenze , quali la diffusione dell’alcolismo femminile. Ma la nostra signora cinquantenne, italiana, figlia di fascisti, moglie di un reduce, madre di figli ai quali non riesce a dare un senso in una società differente da quella nella quale era cresciuta, non può comprendere la Friedan, non ha i mezzi per dare spazio a quelle parole che metterebbero in dubbio la ragione di ogni suo intento. Ha paura! Teme di perdere ciò che ha costruito lottando con il rigurgito di un male che le ha logorato l’anima. Cosa ne sa la Friedan della fame? Cosa ne sa la Friedan della sopravvivenza? Cosa ne sa la Friedan dell’allarme antiaereo, di quella sirena che squarciava la notte e faceva naufragare gli occhi nel pianto? Di quell’orrore restava una sola certezza a dare senso alle vite: La famiglia.


La donna italiana teme che i figli siano sviati da queste idee, ha paura che si diano alla vita da dandy, che si lascino trascorrere le ore sul viso senza raggiungere alcuno scopo. Inorridisce di fronte a queste giovani lavoratrici e indipendenti che riscoprono in loro stesse un diritto al quale non aveva mai dato fondo, ovvero il diritto di non partorire, elemento questo che rende agli occhi della nostra donna cinquantenne, un senso di orrore apocalittico. Una società senza figli, e donne non desiderose di averne, inneggianti l’aborto come diritto di decidere di sé. Eppure nel suo regno anacronistico, l’uomo che ha sposato, ha pieno diritto su di lei, le hanno insegnato a dare sempre ragione agli uomini, ad obbedire, e a rispettare l’uomo come un essere superiore, le hanno insegnato ad essere fedele nonostante i molteplici tradimenti di quest’ultimo. Ma come mai queste ragazzine dai capelli scompigliati inneggiano al divorzio, al diritto di liberarsi di un uomo che non le rispetta? La nostra donna italiana è confusa! Le hanno insegnato che “ l’uomo è cacciatore”, e questa massima le è entrata così dentro da convincerla che il caso contrario non fosse auspicabile. Non comprende, accoglie le botte, come se fossero carezze, difende gli intenti di quell’uomo e la sua severità al punto da creare un muro di silenzio e d’incomprensione, con quei figli nati soli, perché frutto di un risultato scientifico atto a rispondere ad uno schema sociale ben preciso. Mussolini premiava con denaro, donne e uomini prolifici, perché all’epoca mettere al mondo anime, significava intrecciare future braccia alle armi, al fine di compiere un folle disegno imperialistico.

Ad oggi, queste braccia, questi occhi, chiedono cose che non possono essere quantificate. Chiedono abbracci e amore tanto morbidi, quanto disdicevoli per una società fatta di uomini che dovranno essere dati alle armi. Ma cosa volevano questi figli? Cosa pretendevano? Nemmeno lei aveva avuto abbracci e carezze dai genitori, come avrebbe potuto darne ai figli? Distanti, e vuoti, come immensi buchi neri immersi in un mondo a colori, che combatte e che si contorce a scapito della loro piccola perfezione, i suoi occhi recalcitrano trattenendo il pianto, lottano per restare fermi sul fuoco di quella vita della quale non avverte più l’essenza. La casalinga del sessantotto, poco istruita, con molti figli, e un marito reduce di guerra, è lo stereotipo della donna che dissente rispetto alla 194/78, la famosa legge sull’aborto, diritto del quale facciamo ancora bello sfoggio, noi donne del 2017, ma del quale, tuttavia, ancora non riusciamo a fruire pienamente. L’ obiezione di coscienza, a molte donne impone il ripiego clandestino per l’interruzione di gravidanza, rimedio tristemente molto diffuso ancora ai nostri tempi, così come testimoniato dall’istituto superiore della sanità, il quale stima una media di 12-15 mila aborti clandestini annui. Una piaga sociale prima relegata al silenzio assenso di istituzioni troppo impegnate a mantenere dignitosa la figura di uno stato cattolico fondato su patti legati al potere temporale della chiesa, piuttosto che alle esigenze dei cittadini, e che ad oggi possiamo inquadrare come rigurgito di una società retriva, priva di servizi atti alla libera e soddisfacente convivenza civile. Depauperate di cultura e di sostanza, ancora oggi le donne subiscono lo scardinamento anacronistico della donna degli anni sessanta, tant’è che ancora oggi nelle zone più degradate delle grandi città, giovani donne si lasciano andare alla maternità in età a dir poco adolescenziale, subendo il risultato dell’assenza di una regola ferrea atta alla prevenzione della dispersione scolastica, e ad una quasi assente educazione sessuale. La Friedan sosteneva:

« Ritengo che le loro energie sprecate continueranno a essere distruttive per i mariti, per i figli e per loro stesse, finché non verranno adoperate in un proprio rapporto con il mondo. Ma quando le donne, al pari degli uomini emergono dalla vita biologica per realizzare la propria piena umanità, il resto della loro vita può diventare il tempo delle più alte soddisfazioni »

La portata rivoluzionaria di queste parole , a tutt’oggi, motiva l’atteggiamento sbilenco della società del nuovo millennio. Una società priva di parità dei diritti è una società che educa i giovani alla rassegnazione, e all’assenza di prospettive soddisfacenti, tali da condurli nell’oscurità di un’apparenza fatta di guadagni facili e lustrini, è quella stessa che strappa agli occhi quel senso alto di solitudine aberrante che orienta i ragazzini all’autolesionismo e all’isolamento. Disarmati di fronte a questa involuzione sociale, e alla distanza generazionale tra genitori troppo impegnati a restare a galla per non annegare e figli distratti da una malinconia adolescenziale molto più profonda di quanto possa essere inquadrata, dirigiamo nuovamente il nostro ragionamento a quei ventri smunti e a quelle mani ormai rattrappite, che hanno carezzato i nostri volti infanti , con sguardi meditabondi ed interrogativi, senza trovare risposte valide. Perché? Il perché, sta nel silenzio di quelle donne, che ad oggi comprendono il senso delle occasioni perse, immergendo lo sguardo nello scenario di un cielo che cambia colore, ed è da quei silenzi che la società d’oggi deve partire, al fine di colmare quei vuoti e magnificare quelle vite “in buona fede”, mosse da convinzioni incapaci di produrre gli effetti positivi tanto sperati. Cara società ritenta … sarai più fortunata!

Di : Anna Di Fresco

Fonti:

Betty Friedan “ la mistica della femminilità” ( edizioni Castelvecchi);
Il lavoro della donna negli Anni sessanta (http://storicamente.org);
Il sessantotto (http://www.pernondimenticare.net);
IL SESSANTOTTO (http://www.instoria.it );
Le circostanze socio-culturali del postmoderno (http://www.insegnanet.elte.hu);
Obiezione a queste obiezioni – di Corrado Melega (http://it.ibtimes.com)

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