Karlheinz Stockhausen, compositore tedesco visionario, dall’indole controversa, pioniere della serializzazione e disciplina dell’indeterminatezza in musica. La sua partitura del Klavierstück XI (1956) è formata da 19 segmenti su un unico grande foglio, la collocazione dei quali varia in base all’osservazione dell’esecutore. Ivi sono indicate le modalità di legatura delle varie sezioni, non vi è predeterminazione, possono essere suonate tutte, o alcune, o anche eseguite due volte. La durata del concerto si rivela all’artista, quanto al pubblico, al termine della sua seconda interpretazione di ogni segmento, questo è l’unico limite imprescindibile.
Ciò da vita ad un ossimoro nella poetica artistica, ovvero il relativismo conseguente l’indeterminatezza può essere revisionato; il caso viene educato all’interno di un ottica autoritaria. L’improvvisazione gestita in sezioni determinate, l’avvicendarsi di stilemi musicali proposti in ordine indeterminato, secondo la scelta dell’artista e la probabilità.
All’interno di questo nuovo approccio estetico si configura quale esponente di spicco: L’Opus 1970 è uno dei brani più complessi del compositore. Quattro strumentisti di piano, viola elettrica, electronium e tam-tam in connubio con quattro altoparlanti. L’effetto sonoro è filtrato da un sistema a onde corte intenso, modulato, duplicato, sincronizzato, ampliato, ridotto. Gli artisti si adeguano all’eloquio musicale, muniti di registratore con un nastro impresso con brani diversi di Beethoven, e l’esecutore apre e chiude l’altoparlante a suo piacimento. La tecnica complessa e ardita di riassemblare, come un frottage di Prampolini, segmenti sonori di musica classica, a momenti riconoscibile, ma decontestualizzata e destrutturata, assurgendo così a una nuova composizione. Stesso procedimento con Telemusik (1966) e Hymnen (1967), ove le melodie compaiono e scompaiono, distratte da sonorità elettroniche. Stockhausen non desidera interpretare nuovamente, ma focalizza la sua intenzione unicamente sulla penetrazione del suono e il suo ascolto in modo distorto, snaturandolo e “modernizzandolo”. Egli mette in relazione la musica del presente con quella del passato con una nuova consapevolezza e ardore.
Di: Costanza Marana
Fonti:
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