La ‘fantasia infuocata e rapida’ di Benvenuto Cellini

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Questa mia Vita travagliata io scrivo per ringraziar lo Dio della natura che mi diè l’alma e poi ne ha ‘uto cura, alte diverse ‘mprese ho fatte e vivo. Quel mio crudel Destin, d’offes’ha privo vita, or, gloria e virtù più che misura, grazia, valor, beltà, cotal figura che molti io passo, e chi mi passa arrivo. Sol mi duol grandemente or ch’io cognosco quel caro tempo in vanità perduto: nostri fragil pensier sen porta ‘l vento. Poi che ‘l pentir non val, starò contento salendo qual’io scesi il Benvenuto nel fior di questo degno terren tosco.

Incipit dell’autobiografia di Benvenuto Cellini


Benvenuto Cellini (1500-1571) artista controverso con una vita dissoluta portata all’estremo, portavoce d’eccezione dello spirito rinascimentale. Con la sua nota autobiografia fornisce il ritratto di un’epoca e un quadro netto della sua personalità: egotica, sregolata, polemica, strenuamente individualista, impulsiva.

Costui è in primis un artigiano orafo. Alcune opere andranno perse poiché il metallo prezioso viene fuso per mutamenti di gusto e necessità finanziarie; mentre la nota Saliera d’oro eseguita per il re di Francia Francesco I è un tesoro conservato fin a nostri giorni. Il virtuosismo dell’oggetto, la grazia della composizione, l’habitus delicato, l’eco di Michelangelo.

Suoi mecenati d’eccezione saranno Alessandro de’ Medici a Firenze, Clemente VII e Paolo III Farnese a Roma.

Il suo talento indiscusso andrà di pari passo con “lo spirto guerrier che dentro gli rugge” e sarà coinvolto in risse e episodi di violenza. La contraddizione che regna alla base del suo essere lo porterà a raggiungere le più alte cime del Sublime e dell’ispirazione mistica, allo stesso tempo sprofondando nella marcescenza degli aspetti umani più meschini e abietti. La mancanza di un limite al suo Ego, la tensione verso l’Imponderabile, l’abbandono agli impulsi più deteriori dell’individuo, come una corsa senza sosta accondiscende ad ogni debolezza e mediocrità, tenendo a monito il raggiungimento della Bellezza.

Cellini si macchia di delitti capitali quali l’uccisione di un archibugiere, per vendicare il fratello morto, e di un orafo rivale, viene poi accusato di sodomia per avere approfittato di un giovane aiutante della sua bottega. Senza inibizioni, sfrenato in ogni suo gesto, riesce a creare al contempo opere meravigliose, frutto di una contemplazione estetizzante, come la Ninfa di Fontainebleau (1542) che lo celebra artista di fama internazionale e esportatore dello spirito rinascimentale italiano. Qui avviene il passaggio dalla cesellatura alla scultura. Composizione sofisticata e raffinata, di grandi dimensioni, costituisce un omaggio alla magnificenza sovrana incarnata dal cervo raffigurato.

L’alternanza di riflessione artistica a episodi di vita avventurosi si dispiega con un altro aneddoto riguardante la sua partecipazione alla difesa di Castel S. Angelo dall’assedio dei Lanzichenecchi. Egli descrive dettagliatamente nella sua biografia l’uccisione da parte sua di uomini con violenza, irruenza e una forte consapevolezza, dettata da una prosopopea innata che lo caratterizza. Un ardore fisico misto a una tempra spirituale.

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L’opera che sicuramente lo investe quale scultore eccelso per la famiglia Medici è il Perseo (1545-1554) dedicato a Cosimo I Medici. Il semidio con la testa di Medusa svetta nella loggia e assurge a pacificatore e risolutore dei dissidi e dei disordini, monito contro i repubblicani, gli Strozzi e il banchiere Altoviti, finanziatore dei rivoltosi. Il busto di Cosimo I Medici del 1548 à la page di un imperatore romano, stentoreo, autorevole, algido posto all’entrata del Forte Stella a Portoferraio all’isola d’Elba ad incutere timore. Cellini abilissimo nel cogliere i particolari psicologici espressivi, dalla bocca serrata che manifesta un accento grave, agli occhi sbarrati che non sembrano battere ciglio a mostra di determinatezza. Questo busto assurge a simbolo del potere dispotico, mentre la statua rappresentante Altoviti è effigie della libertà individuale che sfida l’autarchia. Il suo sguardo si posa consapevole e tenace sullo spettatore.

L’erotismo omofilo si dischiude in una sua opera controversa: Ganimede (1548-1550). Scolpita nel candore del marmo bianco si staglia la figura del giovine, in posa sensuale, ma di una sensualità acerba, intriso di eleganza classica, che accarezza l’aquila (Giove), concupiscente, avida di rapirlo.

Capolavoro indiscusso che apporta un elemento di religiosità profonda nella panoplia umana di Cellini è il Crocifisso nell’El Escorial (Madrid). Il pathos, il languore, il dolore composto, il contrasto tra il corpo marmoreo etero sul nero della croce, il senso del mistico severo, non esasperato, ma contenuto, silente. Dall’eccentricità al senso dell’armonia e del sublime, Cellini rimane un artista unico nel suo genere che ha lasciato il segno non solo dal punto di vista estetico, ornamentale, ma anche come memoria storica di un sentire di un epoca dilaniata da conflitti sociali-politici, oltre che essere un esempio originale di espressione artistica, dettata da una insofferenza di vita e allo stesso tempo da un amore per tutti gli aspetti, anche più crudi, della stessa.

Di: Costanza Marana

Fonti:
Cellini di Antonio Paolucci, Giunti
L’arte di Benvenuto Cellini di Igino Benvenuti Supino, Firenze Fratelli Alinari Editori, 1901

                                                                                   

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