L’Iraq di Saddam, tra luci e ombre

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Sebbene eccidi come le stragi di Halabja e Dujail rimangano impressi nella Storia come i crimini di un sanguinario dittatore, non si può fare a meno di analizzare a fondo la politica attuata nel corso dei 24 anni in cui Saddam regnò come leader assoluto nel suo Iraq, soprattutto in seguito alla caotica situazione presente nel paese oggi.


La caduta di Saddam Hussein (2003), in seguito all’invasione statunitense, ha rappresentato agli occhi del mondo una liberazione da un regime dittatoriale che per più di un ventennio ha rinnegato i principi di libertà e democrazia che ogni popolo dovrebbe meritare.

Uno dei primi atti emanati dall’allora governatore Paul Bremer, in seguito al crollo del regime, fu la messa al bando del partito Ba’th (partito del leader iracheno) e lo smantellamento delle forze armate irachene. Tale atto provocò la dispersione di circa mezzo milione di uomini facenti parte, fino ad allora, dell’esercito iracheno, ma soprattutto furono create le condizioni affinchè il vuoto di potere degenerasse in quel caos in cui il paese è attanagliato tuttora.


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Il 1979 segnò l’ascesa al potere di Saddam, dopo che per anni aveva rivestito il ruolo di vice presidente del Consiglio del Comando rivoluzionario, che gli aveva permesso di accrescere considerevolmente la propria reputazione.
Fu sotto queste vesti che attuò una serie di riforme che contribuirono all’ammodernamento dello Stato: l’Iraq Petroleum Company, compagnia petrolifera a maggioranza di capitale inglese che deteneva il monopolio sul petrolio, venne nazionalizzata, l’agricoltura fu modernizzata tecnologicamente, il sistema sanitario fu reso pubblico e gratuito e venne elevato il tasso di alfabetizzazione, favorendo l’istruzione pubblica gratuita.
Il tutto va ricordato che avvenne avendo adottato, a differenza dei vicini iraniani, una forma di governo completamente laica.


Bisogna però anche sottolineare come furono attuate, allo stesso tempo, misure restrittive nei confronti della popolazione, al fine di garantire un alto tasso di stabilità in un paese troppo diviso da questioni religiose (sciiti e sunniti), etniche (arabi e curdi) e sociali (tribù e borghesia).


Una delle tante statue di Saddam costruite durante il regime
Comunque, una volta divenuto presidente, Saddam portò avanti un programma progressista di secolarizzazione dell’Iraq, garantendo pieni diritti alle donne (sebbene, secondo molti, la situazione femminile peggiorò dopo la Guerra del Golfo del 1991) e sostituendo alla Shari’a un codice civile ispirato a quelli occidentali.

Il pieno rispetto per la condizione femminile durante il regime è testimoniato dall’OWFI (Organization of Women’s Freedom in Iraq), importante organizzazione non governativa irachena, la quale sostiene come ai tempi del dittatore i cittadini fossero tutti uguali di fronte alla legge, indipendentemente dal genere, e di come fosse permesso anche alle donne di partecipare alla vita lavorativa e sociale.


Anche “Muftah.org“, sito di analisi dei paesi Mediorientali, asserisce come le donne irachene godessero di maggiori diritti (garantiti dalla Costituzione redatta proprio dal partito Ba’th nel 1970) e libertà rispetto agli altri paesi di quell’area.
Inoltre, prima delle sanzioni che colpirono il paese negli anni ’90, i tassi di alfabetizzazione femminile risultavano i più alti della regione (raggiungendo l’87% nel 1985) e gli studenti universitari aumentarono a migliaia, testimoniando la costante fioritura culturale della nazione.
Non è un caso, tra l’altro, se già nel 1982 l’Iraq fu premiato dell’Unesco per lo sradicamento dell’analfabetismo.


Donne irachene oggi
All’Iraq di Saddam venne anche riconosciuto il merito di aver progressivamente ridotto la mortalità infantile attraverso procedure mediche avanzate, che resero la sanità irachena tra le migliori dell’area

Grazie al regime crebbero poi enormemente le infrastrutture, tanto che vennero costruiti i due principali aeroporti nazionali (Baghdad e Bassora), moltiplicati i chilometri di strade e costruita la Freeway 1, quella che ad oggi, con i suoi 1200km, risulta essere l’autostrada più lunga d’Iraq.
 
Il regime di Saddam, come già accennato, ebbe soprattutto la capacità di garantire una forte stabilità all’interno del paese, investendo una cospicua percentuale dei proventi derivanti dalla nazionalizzazione del petrolio in efficienti apparati di sicurezza. 

Seppur si trattasse comunque di un regime dittattoriale imperniato sul culto della personalità, oggi molti iracheni oppressi dal caos presente nel territorio rimpiangono quegli anni. 


Tale nostalgia è testimoniata, tra le molte fonti giornalistiche (l’articolo del Corriere della Sera ne è un esempio), da testate indipendenti quali OsservatorioIraq.
 

Attraverso l’articolo in questione viene sottolineato il malcontento della popolazione locale per l’attuale situazione e il relativo rimpianto per l’alto grado di sicurezza e stabilità presenti nell’Iraq di Saddam.

Ciò avviene perfino a Dujail, cittadina sciita dove nel 1982 furono uccise 148 persone, come rappresaglia di un fallito attentato ai danni proprio di Saddam. Durante quei giorni, si calcola che oltre 400 persone furono arrestate, inclusi anziani, giovani e donne. 

Per quell’eccidio Saddam venne condannato a morte nel 2006, mentre per la Strage di Halabja (avvenuta nel 1988) furono condannati molti dei suoi gerarchi.


In quella occasione le vittime furono addirittura più di 5000 (ma si parla anche di cifre molto più elevate), sterminate attraverso un attacco chimico al cianuro di enormi proporzioni, che non lasciò scampo alla popolazione curda di Halabja.
Tali efferati atti furono il frutto di uno spropositato militarismo perpetrato non solo ai danni dei vicini di Iran (Guerra Iran-Iraq, 1980-’88) e Kuwait (prima Guerra del Golfo, 1990-’91), ma anche verso la stessa popolazione irachena.


16 Marzo 1988 – Strage di Halabja
Un popolo che oggi è sottomesso alle leggi e ai massacri dell’Isis e la cui memoria resta divisa, tra l’esaltazione di un passato stabile e florido sotto molti aspetti e la demonizzazione di un governante ricordato come sanguinario e intransigente.

La caduta di Saddam Hussein segnò insomma per molti un nuovo inizio, ma obiettivamente lacerò un paese stabile, consegnandolo ai bombardamenti statunitensi (che si calcola lasciarono a terra circa 500mila civili) e agli attacchi suicidi delle milizie integraliste.

2013 – Attacco Kamikaze nel nord dell’Iraq

Di: RLS Staff

Fonti:
http://edition.cnn.com/2007/WORLD/meast/06/26/pysk.mohammed/index.html?_s=PM:WORLD
http://muftah.org/was-life-for-iraqi-women-better-under-saddam/#.WPyenqIlHIV
http://osservatorioiraq.it/le-donne-era-meglio-saddam?cookie-not-accepted=1
http://reportage.corriere.it/esteri/2014/mitra-croci-e-nostalgia-di-saddam-i-cristiani-in-fuga-da-mosul/

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