La storia del fumo e la nascita di un’invenzione mortale: le sigarette

Tempo di lettura: 7 minuti Quante volte ci siamo posti il quesito di come sia nata l'abitudine di fumare?! Personalmente, più di qualche volta. Premetto che non sono un fumatore, anzi, ho una profonda antipatia per il fumo delle sigarette, ed è stato proprio questo sentimento a spingermi a voler scoprire da dove sia partita questa abitudine e perché mai abbia riscontrato tale successo.
Tempo di lettura: 7 minuti
Quante volte ci siamo posti il quesito di come sia nata l’abitudine di fumare?! Personalmente, più di qualche volta. Premetto che non sono un fumatore, anzi, ho una profonda antipatia per il fumo delle sigarette, ed è stato proprio questo sentimento a spingermi a voler scoprire da dove sia partita questa abitudine e perché mai abbia riscontrato tale successo.

Innanzitutto urge asserire che il fumo, all’inizio delle civiltà umane, non era oggetto di consumo di massa ma qualcosa di sacro: era un’esclusiva dei sacerdoti. Quelli Maya e Atzechi, già verso il mille a.C., soffiavano il fumo verso il Sole e in direzione dei punti cardinali per comunicare con le divinità. La nuvoletta di fumo, “immateriale” proprio come potrebbe essere uno spirito, era un’importante strumento religioso.

Il fumo di tabacco, descritto per la prima volta ai tempi della scoperta dell’America da cronisti come Bartolomeo de Las Casas, era una consuetudine fra i Taino, popolazione precolombiana che abitava l’attuale Santo Domingo: ” Gli indiani mischiano il fiato con un’erba chiamata pentum (o tabago) e soffiano come dannati”. Anni dopo, il governatore spagnolo di Santo Domingo, Don Fernando Oviedo, aggiungeva: “Fra le molte sataniche arti, gli indigeni ne posseggono una altamente nefasta, l’aspirazione del fumo delle foglie che essi chiamano tabacco che produce in loro un profondo stato di incoscienza”.

Fra i nativi americani, la funzione del tabacco era quella di provocare uno stato modificato di coscienza, aspirandolo con forza e in grande quantità. C’è da dire che il tabacco veniva pure masticato e sniffato in polvere per usi più comuni, con presunti poteri curativi, oppure mischiato con cenere e usato come gomma da masticare.
Ciò che ha dell’incredibile è che viene usato tutt’oggi dai Yanomami del Brasile con effetti, pare, positivi sul ph della bocca e sulla salute dei loro denti.
Dall’America il tabacco fece il suo ingresso in Europa, portato dai compagni di Cristoforo Colombo, in particolare da un certo Rodrigo de Jerez.

Nel 1560, Jean Nicot, un ambasciatore portoghese in Francia, promosse il tabacco come pianta medicinale ( da lui deriva il nome del principio attivo, nicotina); ma ben presto divenne materia prima da fumare fra soldati europei e marinai.
Urge subito chiarire una cosa: ciò non significa che in Europa e in Asia non si sia mai fumato prima della scoperta del Tabacco in America, bensì si fumava altro.
Sorge così, naturale come il sole, la domanda: Che cosa si fumava prima? Gli ariani dell’attuale Iran e l’antica popolazione degli Sciti utilizzavano semi di Canapa (Cannabis sativa), per inalarne il fumo passivo. Racconta Erodoto: “Si infilano sotto una tenda fatta di coperte e gettano i semi su pietre roventi; i semi bruciano producendo un fumo che nessun bagno a vapore greco potrebbe superare. Gli sciti urlano di gioia..”. Il motivo è facilmente intuibile: con quel fumo passivo, sballavano.
I Sumeri, molto prima, utilizzavano l’oppio in particolari cerimonie, sotto forma di tintura e palline da deglutire, e forse lo fumavano. L’oppio in estremo Oriente e l’hashish nel medio, divennero molto diffusi già nel Medioevo. Il primo si trasformò poi in piaga sociale nella Cina coloniale dove, nella prima metà dell’Ottocento, si scatenò la guerra dell’Oppio.
Tornando al punto focale dell’articolo, ovvero il Tabacco, viene lecito porsi la seguente domanda: Come ha fatto a diventare da sostanza sacra e curativa dell’antichità a veleno nei giorni nostri?  Già nel XVII secolo gli inglesi iniziarono a fare fruttare il fumo del tabacco che trovava consumatori non solo fra i soldati, ma anche fra gli intellettuali in forma di sigari o di tabacco per pipa: erano scrittori, poeti e pittori che, in questo modo, volevano anche contestare i costumi rigidi dell’epoca. Entrarono in scena anche alcune donne, che fondarono in Inghilterra l’Ordine della tabacchiera.
Pittori come Adriaen Brower diffusero l’immagine del fumatore di pipa e Sebastian Bach fece una composizione in onore del fumatore. Pensate che, fra i borghesi invitati a cena ci si ritirava a fumare in una sala con una giacca fornita dall’ospite: quando si tornava in sala da pranzo si lasciava questa giacca, chiamata smoking, e ci si rimetteva la propria, che non puzzava di fumo. Un ottimo stratagemma per non dare fastidio agli altri convenuti. Ma si era ancora fermi all’uso di pipe e sigari, prima che dilagasse senza limiti la “peste del fumo”. A proposito di quest’ultima, essa ebbe inizio così: un giorno del 1832 i soldati musulmani turchi, che stringevano d’assedio la città di San Giovanni d’Acri, provarono a infilare tabacco nei cilindri di carta in cui veniva conservata la polvere da sparo e li accesero per fumare. Da questa invenzione nacque quindi la sigaretta, cosa di certo non positiva dato il suo utilizzo a dir poco smisurato.
Così, dalla Turchia alla Gran Bretagna, dalla Francia alla Germania, le macchine della Rivoluzione industriale cominciarono a produrre e confezionare milioni di sigarette. Il terreno era quello giusto per un’evoluzione: un po’ per gli effetti tonici della nicotina e un po’ per le antiche e presunte doti magico-taumaturgiche del tabacco, la sigaretta era considerata una sorta di doping per i soldati al fronte, così come il tabacco da pipa era consigliato ai prelati come antidoto contro le tentazioni di tipo sessuale.
Durante la Guerra civile americana comparve, prima fra i soldati confederati, poi anche fra quelli dell’Unione, un tipo di sigaretta avente il tabacco più chiaro, il quale fu selezionato da un coltivatore della Virginia, dal gusto più leggero e aromatico, ma in grado di creare maggiore dipendenza.
Nel 1880 apparve infine una macchina capace di garantire prezzi bassi per la produzione di grandi quantità di sigarette, e la pubblicità fece poi il resto, consigliando, per esempio, l’uso della sigaretta per mantenere la linea invece di consumare dolciumi.
Alla fine della Seconda guerra mondiale le stecche di sigarette che i soldati americani ricevevano gratis, erano arrivate addirittura a sostituire il denaro nelle transazioni al mercato nero. Successivamente divennero prodotti molto amati dai governi, i quali, cogliendo la palla al balzo, iniziarono a caricarli di tasse al consumo.
Parlando di sigarette, non si può non fare riferimento a James Buchanan Duke, ovvero la persona che più di tutti ha contribuito a diffondere le sigarette nel mondo. James Buchanan Duke, conosciuto più semplicemente come Buck Duke, nacque nel 1856 a Durham, in North Carolina. Nel 1880, a 24 anni, aprì una fabbrica di sigarette proprio nella sua città natale. Allora si trattava di un settore di nicchia: il tabacco veniva perlopiù masticato o fumato in pipe e sigari, mentre le sigarette erano di gran lunga meno diffuse.
James Duke
Nel 1882 Duke iniziò a lavorare con James Bonsack, un giovane meccanico che aveva inventato una macchina per produrre le sigarette. Come spiega il professor Robert Proctor della Stanford University – autore di un saggio sulla storia delle sigarette – la macchina consentiva di produrre una sorta di sigaretta infinita, che veniva suddivisa in sigarette della giusta lunghezza attraverso cesoie rotanti. L’estremità della sigaretta restava aperta e per impedire che si seccasse era necessario aggiungere additivi chimici e altre sostanze come glicerina, zucchero e melassa. Duke, decise quindi di investire nel progetto di Bonsack, convinto che le persone avrebbero preferito di gran lunga le sigarette industriali piuttosto che quelle artigianali. 
Durante la produzione artigianale ogni lavoratore realizzava circa 200 sigarette a turno. La macchina di Bonsack consentiva invece di produrre circa 120 mila sigarette al giorno, più o meno un quinto del consumo dell’epoca negli Stati Uniti, e non riusciva a venderle tutte. Duke dovette quindi cercare di aumentare il numero dei fumatori e capì che poteva farlo investendo nel marketing e nella pubblicità: sponsorizzò eventi sportivi, regalò sigarette ai concorsi di bellezza, comprò spazi pubblicitari sulle prime riviste e incluse figurine da collezione nei pacchetti.
Nel 1890 Duke ottenne la copertura del 40% di tutto il mercato americano di sigarette. A tal proposito, proprio in quell’anno egli prese il controllo delle quattro aziende rivali più importanti, fondando, in aggiunta,  l’American Tobacco Company. Nel 1906, però, l’azienda venne condannata con l’accusa di aver violato la legge sull’antitrust e fu costretta a dividersi in tre diverse aziende. 
Nel frattempo il suo successo aumentava: riuscì a espandersi in nuovi paesi (come la Cina) e in nuovi settori della società dell’epoca, diffondendo il fumo anche tra le donne. Nell’Ottocento le uniche donne a fumare erano le prostitute: Duke capì che per convincere le donne a fumare bisognava cambiare il significato sociale del fumo e si affidò a pubblicitari che trasformarono le sigarette in un simbolo dell’emancipazione femminile.

Duke capì anche che le sigarette avrebbero potuto soppiantare le altre forme di consumo di tabacco: potevano essere infatti fumate in ristoranti e salotti, dove sigari e pipe erano proibiti, mentre la facilità con cui potevano essere accese e restare tali le rendeva più adatte alla vita moderna delle città. Le sigarette venivano anche considerate più salutari delle altre forme di fumo viste le loro dimensioni, e a lungo i medici le consigliarono contro il raffreddore, la tosse e la tubercolosi, una malattia che oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità lega al fumo. A dirla tutta, in realtà le sigarette creano molti più problemi alla salute e più dipendenza dal tabacco rispetto a pipe e sigari, dato che contrariamente a questi vengono solitamente inalate.
Negli ultimi quindici anni dell’Ottocento il numero di fumatori negli Stati Uniti quadruplicò. All’epoca non si nutriva il ben che minimo sospetto che le sigarette potessero essere dannose per la salute e gli unici movimenti che si opponevano al diffondersi del fumo erano legati a preoccupazioni morali, soprattutto a causa del consumo di sigarette tra donne e bambini. Duke morì nel 1925 e certamente non era consapevole di aver diffuso “l’artefatto più mortale nella storia della civilizzazione umana”, come la definisce Proctor, “che nel ventesimo secolo ha ucciso circa 100 milioni di persone”.

I filtri per sigarette cominciarono a essere diffusi dopo la morte di Duke, da un brevetto ungherese e grazie al lavoro dell’industria Bunzl. Inoltre, le sigarette furono collegate al tumore ai polmoni solo dopo agli anni Trenta e primi a confessare tale triste notizia furono i tedeschi. Urge dire, però, che il rapporto causa effetto con la malattia venne riconosciuto ufficialmente soltanto nel 1957 in Regno Unito e nel 1964 negli Stati Uniti.
L’uomo, nel corso della storia, è stato capace di invenzioni incredibili, alcune di esse hanno reso la nostra vita migliore, altre hanno fatto sì che molte vite si siano spente prima del dovuto. La sigaretta, ahimè, appartiene a quest’ultima categoria. Le invenzioni che spengono vite vanno cestinate. Meglio eliminare uno stupido e malsano vizio, che gettare nel fumo troppo vite.

Fonti:
https://www.paginemediche.it/benessere/corpo-e-mente/storia-del-tabacco-com-e-nato-il-vizio-del-fumo
http://www.homolaicus.com/economia/fumo/fumo1.htm

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