Prima di allora il paese era stato governato da Regno Unito ed Egitto, e le differenze tra la due macroregioni erano già ben evidenti. Non solo, infatti, lo Stato coloniale africano fu amministrato come se già fosse suddiviso in due differenti nazioni, ma erano (e lo sono tuttora) anche ben evidenti le differenze socioculturali dominanti. Se infatti nel nord è da sempre ben radicata la cultura araba/islamica, il sud si rifà principalmente al credo animista (e anche ad una solida minoranza cristiana).
Al sud del paese venne promessa un’autonomia amministrativa che però non fu mai realmente concessa e la relativa pace perdurò soltanto undici anni.
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John Garang |
La causa del Sud ottenne l’appoggio di entrambi i blocchi internazionali, sia per l’intransigenza verso il potere islamico di Karthoum, che per la rivendicazione degli ideali marxisti. Il conflitto proseguì incessante, tra ulteriori tentativi di sottomissione verso il Sud Sudan da parte del generale Ahmad al-Bashir (giunto al potere con un colpo di Stato nel 1989), intromissioni di paesi esteri quali Eritrea, Etiopia e Uganda, e tentativi di conciliazione. Non mancarono nemmeno massacri come quello avuto luogo a Bor, città del Sud Sudan, a partire dal 28 agosto 1991. Da quel giorno, in soli due mesi, furono sterminati in totale più di 85mila civili, ad opera delle milizie di Riek Machar, oggi vicepresidente della Repubblica del Sudan del Sud. L’intento dei carnefici era quello di esercitare una severa repressione a danno della popolazione vicina a Garang.
Si giunse alle soglie del 2000 e gli Stati Uniti, attraverso il “Sudan Peace Act” condannarono le violenze perpetrate dal governo centrale e si impegnarono per vigilare sulla situazione del paese, fino al raggiungimento dei trattati di pace.
In particolare, tale atto affermò come il governo Sudanese fosse stato responsabile di genocidio nei confronti del proprio stesso popolo, avendo casuato oltre 2 milioni di vittime e 4 milioni di profughi (1).
Secondo gli Statunitensi, inoltre, solo l’ingerenza degli altri Stati aveva permesso di contrastare un’ulteriore escalation di tali violenze (6) e la creazione di milizie da parte degli stessi Sudanesi aveva fatto sì che il governo potesse soggiogare maggiormente la popolazione, nascondendo allo stesso tempo ogni propria responsabilità (7).
In ogni caso l’atteso accordo di pace fu firmato in Kenia il 9 gennaio 2005. Attraverso di esso si garantiva piena autonomia al Sud fino al referendum indipendentista del 2011, un’equa ripartizione del lavoro e delle fonti petrolifere tra le due parti, e l’imposizione della Shari’a solamente nel nord islamico.
Sei anni dopo si giunse finalmente al referendum sull’indipendenza del Sudan del Sud, che sancì la nascita del nuovo Stato con quasi il 99% di voti favorevoli espressi dall’affluenza record di oltre il 96% degli aventi diritto.
A distanza di sei anni, però, l’avvenuta secessione non sembra aver migliorato la vita dei quasi 13 milioni di abitanti, nonostante la ricca presenza di pozzi petroliferi nel territorio. Fattore che ha, tra l’altro, causato un contenzioso con il nord del paese, che detiene la gran parte degli impianti di raffinazione e gli oleodotti che ne permettono l’esportazione (considerata l’assenza di sbocchi sul mare nei territori del Sud). Per di più, lo scontro all’interno del Sud Sudan stesso tra le tribù dei Dinka e dei Nuer secondo l’ONU ha già causato la morte di oltre 50mila persone e, ad oggi, oltre 1 milione e 250mila persone soffrono una devastante carestia.
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Profughi Sudsudanesi |
Insomma, anche se liberata del giogo opprimente del governo di Karthoum, la popolazione Sudsudanese soffre la fame, fugge, vive nell’analfabetismo (al 75%) e muore a causa di un conflitto fratricida che, ancora una volta, alimenta le fiamme di un inferno mai realmente sopito.
Nemmeno dalla tanto acclamata secessione.
Di: Domenico Carbone