Oggi il termine è utilizzato con accezione negativa per dipingere movimenti con programmi elettorali che non sembrano avere alcuna precisa direzione, eppure il termine all’origine non era necessariamente dispregiativo, anzi, segnava un vero e proprio cambio di rotta nel modo in cui si governava uno stato. Fino ai primi del 900 infatti, al governo di qualsiasi democrazia, si ritrovavano fondamentalmente dei partiti di notabili ovvero dei partiti di rappresentanza individuale, in un contesto di partecipazione a suffragio molto ristretto, partiti borghesi-aristocratici composti da individui altolocati, e di notevole influenza.
Fu solo con il subentrare delle masse nella scena politica e il progressivo allargamento del diritto di voto, che la questione dovette cambiare. In alcuni paesi il processo fu più graduale e ben guidato, in altri invece fu un momento di vera e propria rottura con il passato, spesso a seguito di un grande evento che facesse perdere la fiducia nella classe politica e che quindi indirizzasse il consenso delle masse verso nuovi movimenti e nuove figure.
Ci sono a tal proposito, due casi di significativa importanza in America Latina, il Brasile e l’Argentina dove salirono al potere due figure che gli storici classificarono in seguito come populiste.
In particolare il Brasile aveva visto diminuirsi l’esportazione di caffè di cui era il maggior produttore. La crisi aveva messo in ginocchio non solo l’economia, ma anche la legittimazione dell’intero modello politico liberale che si era dimostrato incapace di salvaguardare il paese dalla crisi e dalla disparità sociale non essendosi prodigato abbastanza per includere le masse nella vita politica e nella vita dello stato.
In questo contesto nasce il movimento populista che attraverso l’obiettivo d’includere le masse nella vita politica, si ispira ai fascismi europei come l’ Italia e il Portogallo di quegli anni per adottare un tipo di modello sociale corporativista che potesse essere in grado di eliminare la conflittualità sociale tra classi in favore di una visione organica della società vista come un corpus unico pronto alla collaborazione per il superamento della crisi. Già la chiesa cattolica aveva formulato da sempre una visione simile della società e l’aveva tradotta in politica con l’enciclica della rerum novarum del 1891 e l’enciclica sul lavoro del 1931.
Il populismo inoltre si basava sullo stretto rapporto tra la massa e il capo carismatico, rapporto creatosi grazie ai moderni sistemi di comunicazione di massa come la radio e il cinegiornale. Nel 1930 quindi in Brasile divenne presidente Getúlio Dornelles Vargas grazie ad un importante programma di welfare state, di assistenza alle popolazioni, di politiche del lavoro. Il largo interesse di Vargas nei confronti delle classi sociali meno abbienti gli valsero un grande consenso e le sue politiche interventiste dal punto di vista economico con le nazionalizzazioni delle imprese inaugurarono un intervento dello stato in economia come mai era avvenuto prima nella storia del Brasile.
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Getúlio Dornelles Vargas |
Nel 1937 Vergas diede il via all’Estado Novo, un programma politico con il quale esautorava il parlamento e amplificava l’interventismo nell’economia e le politiche sociali, oltre che limitare la libertà di stampa. Fondò inoltre due partiti: il partito dei lavoratori e il partito socialista, questi erano gli unici partiti tollerati. Vargas invece che avvicinarsi ai fascismi europei, strinse rapporti con gli Stati Uniti e nel periodo della seconda guerra mondiale dichiarò guerra all’asse nel 1942, abbastanza precocemente rispetto ad altri paesi latinoamericani.
Nel 1945 Vargas venne cacciato e si ripresentò alle elezioni presidenziali nel 1951, vincendole. Presentò il suo programma di nazionalizzazione di compagnie petrolifere lasciando però una forte compartecipazione straniera, fattore che suscitò molte critiche nei suoi confronti e alla fine venne messo in minoranza fino a quando si suicidò nel 1954. L’operato di Vargas non modificò sostanzialmente l’economia brasiliano incentrata sostanzialmente sul settore primario.
Anche Perón fu considerato un esponente del populismo politico in quanto attraverso una larga redistribuzione delle ricchezze, una politica sociale di welfare e una concezione corporativista della società, guadagnò forte consenso tra la popolazione. La sua vicinanza ai fascismi europei e la tardiva dichiarazione di guerra all’asse gli alienarono le simpatie degli Stati Uniti e gli procurarono notevoli pressioni in tal senso. La moglie di Perón, Eva, ebbe un ruolo altrettanto importante nella politica del marito. Essa costituì il volto più popolare del regime convogliando le simpatie del popolo grazie al suo impegno sociale.
Oltre alle numerose politiche sociali messe in campo, Perón creò un sindacato e lo incluse nelle istituzioni dello stato elevandolo ad unico interlocutore con lo scopo di eliminare la conflittualità sociale, in linea con il corporativismo.
I tre cardini del peronismo erano costituiti dall’indipendenza economica, la sovranità nazionale e la giustizia sociale. Oltre ad essere il peronismo un movimento fortemente nazionalista era assolutamente anti imperiale e mirava a sganciare l’Argentina dalla dipendenza economica delle potenze straniere attraverso il modello ISI di industrializzazione sostituiva delle importazioni. La necessità di capitali comunque, portò il peronismo a riaprire il paese ai capitali esteri. Nel 1955 Perón fu cacciato e costretto a fuggire all’estero da un colpo militare, trovando rifugio nella Spagna franchista.
Il paradosso del populismo è qui evidente in quanto in quegli anni, il partito fosse formato da una fazione più conservatrice e corporativa storicamente di destra e una più popolare e di sinistra vicina alla guerriglia comunista presente in Argentina dei Montoneros. Nel 1974 però, Perón muore e Isabel Martínez, sua terza moglie, diventa presidente fino a quando nel 1976 i militari attuano un ennesimo colpo di stato instaurando un regime militare e una piena dittatura destinata a durare per molti anni.
Di: Cristiano Rimessi
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