“Signora o signorina Youniac (?). Non è questo il suo nome”.
“Pochi giorni fa, nel salone tenuemente illuminato dal chiarore del fuoco, dove la Woolf era stata così cortese da ricevermi, guardavo profilarsi nella penombra il pallido viso da giovane Parca appena invecchiata, ma delicatamente segnata dalle impronte dei pensieri e della stanchezza e mi dicevo che spesso vengono rimproverate d’intellettualismo le nature più raffinate, le più appassionatamente vitali […] Per tali esseri, l’intelligenza è un vetro del tutto trasparente dietro al quale osservano con attenzione scorrere la vita.”
Con queste parole la Yourcenar, nel suo saggio sulla Woolf “Una donna sfavillante e timida”, ricorda quell’incontro in cui la volontà di restituire un ritratto interiore e i cenni descrittivi si mescolano nel tentativo di rendere un’atmosfera ed una donna – una grande mente – ad un tempo.
Quando la Yourcenar tenta di ricondurre Virginia alle ragioni del suo viaggio – questioni strettamente legate alla traduzione: se l’autrice, ad esempio, preferisce una resa più fedele e letterale o se invece concepisce dei margini di libertà più ampi – quest’ultima, a detta della francese, sembra essere completamente disinteressata, quasi si trattasse di cose di poca importanza.
“Non ho né tempo né spazio per descrivere la traduttrice, salvo per dire che indossava dei graziosi nastri d’oro sul suo abito nero; ritengo sia una donna che nasconde qualcosa del suo passato; dedita all’amore; intellettuale; vive ad Atene per metà dell’anno; […] ha labbra rosse; è tenace; una francese lavoratrice; prosaica.”
E’ il 23 Febbraio 1937 e queste sono le asciutte parole della Woolf sulla donna che il giorno prima le aveva fatto visita, di cui non ricorda già più il nome.
Virginia vede, osserva, descrive acutamente e da lontano con gli occhi di chi considera una distrazione, un’incombenza necessaria quell’incontro. Marguerite, invece, prende ogni cosa da quel viso che la guarda, dalla voce che le parla, dall’ambiente che le accoglie.
Si potrebbe osservare che è costretta a farlo: lei sa di dover scrivere della Woolf e riscrivere la Woolf; ha tutto l’interesse a carpire dettagli, sfumature, nuances. Probabilmente – possiamo solo immaginarlo – non si andrebbe lontano dal vero. Eppure, leggendo l’introduzione all’edizione francese de Le onde da lei tradotta, studiando il suo saggio “Una donna sfavillante e timida”, traspare l’ammirazione, la stima, la ricchezza del sentire riconosciuta ad una scrittrice la cui opera ha “una leggerezza tesa a non si sa quale cielo astratto” ed uno stile che fa pensare “ora a ciò che attraversa, ora a ciò che ha attraversato”.
Provo ad immaginare la fine della conversazione, il congedo di entrambe, il fuoco che continua a bruciare in un giorno che come tanti altri finisce: ognuna riprende posto nella propria vita riportando impressioni differenti, percezioni sottili e distinte. Non si rivedranno più.
E’ una piccola storia questa, a rigore un incontro di lavoro: un mondo, in realtà. Qualcosa di cui i libri di letteratura difficilmente raccontano. Un evento accaduto nel “tempo comune” di una giornata invernale di qualche decennio fa.
La storia si fa sempre, ogni minuto che passa: in ogni singolo uomo, in ogni singola donna.
Di: Simone Migliazza
Fonti:
Virginia Woolf: Diario di una scrittrice, Minimum Fax.
Marguerite Yourcenar: Pellegrina e straniera, Einaudi.