L’enigma Will e William West: come un caso cambiò il metodo investigativo

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La passione per l’investigazione è frutto della curiosità insita in ognuno, poi la cronaca, soprattutto nera, ci informa ogni giorni di omicidi, furti e quanti altri crimini l’essere umano possa commettere.  Grazie anche a molte serie televisive poliziesche, che si dilettano nella trasposizione delle realtà investigative sul grande schermo, siamo sempre informati ed aggiornatissimi sulle pratiche che la scientifica utilizza per scovare criminali.

L’arte investigativa si è evoluta moltissimo tra Ottocento e Novecento, introducendo importanti novità, prima neanche prese in considerazione: tra queste pratiche, prima sottovalutate, poi diventate essenziali nella criminologia, si trova l’analisi delle impronte digitali. Questa nuova competenza inizia ad essere utilizzata dalle forze dell’ordine di tutto il mondo dopo alcuni curiosi casi, in cui risultava totalmente impossibile impiegare gli strumenti utilizzati fino a quel momento per riconoscere e condannare il giusto criminale.

Infatti, fino ad inizio Novecento, in varie nazioni era utilizzata dalla polizia l’antropometria, disciplina inventata dall’antropologo francese Alphonse Bertillon: il Metodo Bertillon – nato nel 1882 –  aveva lo scopo di classificare ed identificare gli individui, tramite la misurazione precisa delle parti del corpo che andava poi annotata su una dettagliata scheda. Questa modalità fu praticata per parecchi decenni, fino a quando non iniziò ad essere messa in discussione da alcuni strani episodi che rendevano impossibile il suo impiego. 

 

Un caso in particolare scosse particolarmente il sistema investigativo internazionale, noto come “il caso di Will e William west”. Il primo maggio 1903, nella prigione statale di Leavenworth, sita in Kansas, fu accolto un nuovo detenuto, un certo Will West, afro-americano. Il prigioniero fu sottoposto alla normale schedatura  da parte degli agenti penitenziari: foto, descrizione e undici misurazioni antropometriche. A Will West fu affidata la scheda n° 3426, immediatamente inserita nel registro carcerario da una guardia, la quale, sfogliando lo stesso inventario, fece l’amara scoperta che era già presente nel registro lo stesso detenuto, con la scheda n°2626. Immediatamente si pensò ad una evasione da parte di West che, arrestato nuovamente, sia finito nello stesso carcere.

Mostrata la seconda scheda allo stesso West, dove erano riportate le misurazioni e le fotografie, il prigioniero affermò di non essere lui quello nello scatto, suscitando le ire della guardia che inviò alcuni colleghi a verificare per quale motivo Will non fosse nella sua cella. Gli altri agenti con sconcerto scoprirono che in realtà il detenuto n°2626 era realmente nella sua cella e che era completamente identico per fattezze e misure antropometriche al detenuto n° 3426. Com’era possibile? Il Metodo Bertillon non era mai stato fallace: era necessario l’aiuto di qualcuno di più competente per scoprire cose stesse succedendo. Il direttore dell’istituto carcerario, McCloughty, convocò i due detenuti e li misurò personalmente, stupendosi nel constatare che le loro misure antropometriche erano identiche; identica era anche la loro fisionomia.  

Qualche tempo prima McCloughty lesse di una nuova disciplina nota come dattiloscopia, che suscitava interesse in molti studiosi nel campo della criminologia. Era una pratica abbastanza particolare, che si discostava nettamente dalla tradizione precedente: la dattiloscopia infatti basava il suo studio sulle creste cutanee papillari o dermatoglifi, quelle linee presenti sulla cute, soprattutto sui polpastrelli delle dita.  L’antropologo Sir Francis Galton – fondatore dell’eugenetica – e il poliziotto britannico Sir Edward Henry, alla fine del Novecento, avevano dato il contributo finale alla dattiloscopia, scienza già applicata in alcuni casi sin da metà dell’Ottocento, grazie a numerosi pionieri in tutto il mondo.

Le migliorie apportate prima da Galton, poi da Henry, permisero una maggiore presa in considerazione della dattiloscopia a livello mondiale: proprio dopo aver letto un articolo a riguardo, il direttore del carcere di Leavenworth decise di applicare  questo nuovo metodo. Prese dell’inchiostro con cui macchiò le ultime falangi di entrambi gli individui, passandole poi su un tampone. Solo così si venne a capo della questione: i due che erano chiaramente gemelli omozigoti (forse lo sapevano e mentivano per coprirsi, o forse non sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, questo non è chiaro dai resoconti dell’epoca) avevano però impronte totalmente differenti. Will e William West erano effettivamente due persone differenti, che avevano commesso dei reati differenti. Il caso non fu isolato, ma suscitò una vera rivoluzione: il bertillonage iniziò seriamente ad essere messo in discussione – portando in disgrazia anche Bertillon – mentre la dattiloscopia diede avvio alla scienza forense che tutt’oggi si basa su di essa, migliorandosi sempre più grazie alle maggiori possibilità tecnologiche del nostro secolo.


Di: Simona Amadori

Fonti:
Frank Smith, Sulle tracce dell’assassino – Storia dell’investigazione scientifica, London, Orbis Publishing, 1980Luca Marrone, Delitti al microscopio: l’evoluzione storica delle scienze forensi, Roma, Gangemi Editore, 2015
Giuseppe Gennari, Nuove e vecchie scienze forensi alla prova delle corti, Santarcangelo di Romagna, Maggiori Editore, 2016
Simon A. Cole, Suspect Indentities. A History of Fingerprinting and Criminal Identification, Cambridge, Harvard University Press, 2001

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