Le origini dimenticate del Fado

Banjo Foto Pixabay
Tempo di lettura: 4 minuti Nel 1943 usci in Brasile un disco a settantotto giri, inciso su ceralacca. Si chiamava Mae Preta e raccontava la storia, triste e un po’ melodrammatica, di una delle tante schiave afro-brasiliane che accudivano i bambini dei padroni bianchi.
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Nel 1943 usci in Brasile un disco a settantotto giri, inciso su ceralacca. Si chiamava Mae Preta e raccontava la storia, triste e un po’ melodrammatica, di una delle tante schiave afro-brasiliane che accudivano i bambini dei padroni bianchi.

Le origini

Pelle rugosa, capelli crespi bianchi
Un grembiule di pizzo che cadeva fino all’anca
Dondolava la culla del figlio del padrone
Che da poco la signora aveva avuto
Era così che Mami Negra faceva,
Tirava su tutti i bianchi con allegria
Poi, là nei quartieri degli schiavi, prendeva in braccio il suo moretto
Mami Negra si asciugava un’altra lacrima
Mami Negra, Mami Negra
Mentre la verga batteva il suo piccolo amore
Mami Negra cullava il figlio bianco del signore

Musicalmente parlando il brano interpretato da un gruppo chiamato Conjunto Tocantinos, era immerso in quel vasto e inquieto oceano della musica popolare del paese amazzonico. Una tradizione nella quale si agitano e si intersecano in un moto continuo elementi africani, musiche europee colte e non.

La canzone fu ripresa e incisa in Portogallo, nel 1954, dalla fadista Maria Conceicao. Il disco ebbe una rapida diffusione radiofonica e un buon successo di pubblico. Ma uscì molto presto dalla programmazione. La censura del regime salazariano non poteva accettare un testo tanto esplicito sulla storia della schiavitù. Erano quelli i decenni in cui il regime, secondo gli oppositori, costruiva il suo consenso sulla soffocante ideologia delle tre F: Fatima, Fado, Football (anche se il football, grazie soprattutto alla stella nera dell’africano Eusebio, sarebbe diventato mito nazionale negli anni ’60). Un nazionalismo basato su miti indigeni sia religiosi sia secolari. A dire il vero quello fra il regime e il fado rimase sempre un rapporto complesso e contraddittorio.

La diffusione

Negli anni prima della guerra i gerarchi della cultura salazarista parlavano di “canzone dei vinti” e di un genere musicale inadatto per la sua origine plebea e, per la sua malinconia di fondo, a esprimere la marzialità e le virtù eroiche dell’anima portoghese. Fu solo dopo la seconda guerra mondiale che il fado diventò una specie di biglietto da visita del Portogallo. La necessità di dotare il paese di una sua identità nazional popolare lontana dall’aggressivo ideologismo fascista e, secondo lo studioso Ruy Vieira Nery, anche il turismo, sviluppatosi dagli anni cinquanta in poi, contribuirono alla diffusione e alla “cristallizzazione” del genere. Amalia Rodrigues divenne, l’icona di questa “portoghesità”, grazie anche brani manieristici come Uma Casa Portoguesa e Lisboa Antigua.

Mae negra era entrata però nell’immaginario portoghese, tanto che nel 1955 un grande poeta David Mourão-Ferreira raccontò su quella melodia un’altra storia di donna, quella della moglie di un uomo di mare (il testo fa pensare a un pescatore) che attende il ritorno impossibile del marito disperso in una qualche tempesta atlantica. Barco Negro, interpretata per prima da Amalia Rodrigues, è diventata uno dei titoli più importanti del fado portoghese, entrando nel repertorio di tutte le più grandi interpreti. Mae Preta poté quindi entrare nel repertorio fadista solo dopo il 25 aprile 1974. Come fu possibile che un brano musicale così manifestamente brasiliano e meticcio, entrasse nel paesaggio emotivo di una nazione, soprattutto in un periodo dominato da tanto conformismo nazionalista?

Ancora ai giorni nostri un’agiografia superficiale e una cultura più turistica che musicale ha visto il fado come una musica autoctona portoghese, influenzata, al più, da reminiscenze della dominazione araba. La storiografia più acuminata ha individuato invece le radici brasiliane del genere. Il termine fado si trova per la prima volta utilizzato per indicare un fenomeno musicale in testi di viaggiatori del tardo XVIII secolo, che designavano con quel nome una danza licenziosa e ritmicamente coinvolgente praticata dagli schiavi neri, ma non solo.

Negli stessi anni nei salotti di Lisbona si danzava il Ludun, un altro ballo afrobrasiliano abbastanza simile al fado, ma espurgato dalle movenze più sensuali. Negli stessi salotti le signorine di buona famiglia cantavano le cosiddette Modinhas, arie influenzate tanto dal melodramma italiano quanto dalla musica francese. Canzoncine piene di garbata malinconia, di tristezza manieristica. Esistevano tuttavia, anche modinhas di strada. Così venivano definite, ad esempio, i canti con cui i mendicanti chiedevano l’elemosina.

L’intenso traffico del grande porto, il ritorno della corte Reale dal Brasile nel 1821, la presenza di neri, schiavi o liberati fece sì che il fado di origine brasiliana, all’inizio solo una danza, attecchisse in Portogallo. Le cronache parlano dei bordelli come di case di Fado, nelle quali si danzavano movenze di carattere esplicitamente sessuale e si cantavano, spesso improvvisando strofe licenziose o malinconiche. Forse alcune queste forme musicali erano arrivate nei bassifondi probabilmente dai tanti nobili o borghesi che li frequentavano in cerca di emozioni. La prima star del fado, la leggendaria e misteriosa Maria Severa, che morì nel 1846 a soli ventisei anni, era, con ogni probabilità una prostituta, diventata amante di un nobile.

Come il tango, il samba e tutta la musica afro americana, è musica meticcia, bastarda, contaminata, transoceanica. Musica di porto e di migrazioni, profondamente urbana, esposta all’incrocio dei venti e permeabile a tutte le influenze, colte o popolari in nessuna maniera può essere assurta a un’ideologia di una presunta, immutabile, anima portoghese.


Lo staff di RLS ringrazia l’autore dell’articolo: Marco Buttafuoco

Fonti:
Ruy Viera Nery, Il fado. Storia e cultura della Canzone Portoghese, Donzelli, 2006
José Malhoa, “O fado” (1910), Museu do Fado, Lisbona

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