La poetica del viaggio trova in Giorgio Caproni (1912-1990) un interprete sensibile e originale, qualificandone un’identità letteraria. Egli serba quella franchezza d’animo, quella tensione verso i luoghi che gli appartengono, trasmessagli dal padre, durante le loro lunghe passeggiate attraverso le distese livornesi.
Un senso di verità e fedeltà legato al valore del sacrificio e dell’esperienza struttura la sua maturità, precoce, avvezza al pragmatismo della vita. Di pari passo, Caproni mostra una dedizione verso il linguaggio, la narrativa e l’espressione poetica, con una costanza e un’abnegazione che caratterizzano il suo percorso esistenziale e intellettuale.
Il tema del cammino stimola in lui un approccio classico, dal sapore antico, convogliando schemi sintattici e figurativi tradizionali. L’accostamento è però originale. Le sue destinazioni sono non luoghi, simboli di un passaggio dalla vita alla morte.
Il richiamo dantesco dello smarrimento esistenziale trova in Caproni delle conclusioni ineluttabili. I suoi viaggi senza inizio né fine conducono a una sorta di circolarità: una coincidenza o un’eterna separazione.
Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
È stato tutto un restare qua,
dove non fu mai
La parola “restare” racchiude in un certo senso il significato della sua ricerca poetica. Egli nella necessità dello spostamento risente dell’attrito del frenarsi. Come esprimono i suoi splendidi versi: “Eppure, non mi risolvo. Resto. Mi lega l’erba. Il bosco”. E conclude:” La sera siedo su questo sasso, e aspetto. Aspetto non so che cosa, ma aspetto”.
Il senso dell’attesa e di una fatalità che governa tutto. Nel “Congedo del viaggiatore cerimonioso” il poeta ricrea degli inframezzi immaginari, come vagoni del treno, in cui l’apparenza di una convivialità forzata accompagna fino all’ultima fermata, senza avere la consapevolezza di quando giungerà la battuta d’arresto finale. Il viaggio come un commiato. Un’allegoria di un trascorso esistenziale, avvolto dall’inquietudine e dal dubbio, come si ritrova anche nelle sue “Stanze della funicolare”. Il caso come forma primigenia che conduce l’individuo verso una direzione prestabilita.
Il viaggio come il perdurare di un senso di colpa individuale come ne “l seme del piangere” e nel “Viaggio in treno” dove esprime il suo senso di inadeguatezza nel ruolo di figlio a dare conforto al pianto paterno.
Piangeva in treno, solo,
davanti a me, suo figliolo.
Che sole nello scompartimento vuoto,
fino a Benevento!
La modernità dell’autore si rinnova nel suo voler tramettere l’antico, inserendolo in un contesto figurativo differente. E’ proprio la scelta di vari mezzi di trasporto (treno, bicicletta, funicolare) che caratterizza le sue poesie a creare questa dinamicità espressiva, “alleggerendo” il senso dell’epica presente.
Un viaggio introspettivo dominato dalla solitudine che getta ombre sul suo tragitto, ma che viene illuminato a tratti dal senso della memoria. Caproni si rivolge ai suoi ricordi e si immerge in percorsi fantasiosi, attingendo al suo personale immaginario, familiare ed esistenziale.
Di: Costanza Marana
Fonti
Poesie, Giorgio Caproni, Garzanti, Milano, 1976;
L’ orma della parola : su Giorgio Caproni, Adele Dei, Esedra, Padova, 2016
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