Giuditta Tavani Arquati, la patriota di Trastevere

Tempo di lettura: 5 minuti

Considerato subalterno al maschile, il ruolo femminile nella costruzione della nostra nazione rappresenta in realtà molto di più di un semplice aiuto ai patrioti. Furono numerose le donne che parteciparono attivamente ai moti risorgimentali e che si dimostrarono agguerrite organizzatrici di cospirazioni, conduttrici di battaglie, mettendoci un impegno e una passione, troppo spesso dimenticate. Chi con un fucile – come Anita Garibaldi – chi con appassionate lettere – come Costanza d’Azeglio -, le Sorelle d’Italia diedero un contributo essenziale alla nascita del nostro paese.

 Tra queste figure, si vuole raccontare l’avvincente storia di Giuditta Tavani Arquati, una donna che proviene da una famiglia in cui scorre vivo il sangue per l’amor di patria: la madre Adelaide Mambor proviene da una famiglia patriottica come quella del padre Giuseppe Tavani, commerciante di tessuti con forti ideali mazziniani e che sarà uno dei più valorosi difensori della Seconda Repubblica Romana – nata nel 1849 a seguito di una rivolta interna di alcuni territori dello Stato pontificio, desiderosi di creare un nuovo stato fondato su essenziali diritti civili. Diciannove anni prima della ribellione, nel 1830, dall’amore tra i due, nasce una figlia, la splendida Giuditta, che ha un animo forte, passionale e, come i genitori, ardente per la causa repubblicana. Nel 1844, si sposa a soli quattordici anni con Francesco Arquati, anche lui sostenitore dell’autodeterminazione italiana e insieme a Tavani, figlia e genero combattono proprio per la Repubblica capitolina, che, tuttavia, durerà solo qualche mese, caduta sotto l’intervento francese. Nell’insurrezione il padre di Giuditta viene arrestato e imprigionato nelle carceri pontificie, per poi esiliarsi autonomamente a Venezia, insieme alla famiglia. Anche i due sposi sono ricercati e dopo un primo soggiorno nel Veneto, si recano nelle Romagne, dove, in combutta con altri fuoriusciti dall’esperienza romana, riorganizzano la ribellione e cospirano per una nuova liberazione della futura capitale d’Italia. Nel 1865 Giuditta e Francesco – intanto divenuti genitori – tornano a Roma dove le speranze repubblicane sono ancora tutte in gioco: molti sono infatti i sostenitori della causa, convinti che sia possibile deporre lo Stato Pontificio, liberarsi dal giogo straniero e finalmente annettere anche i territori romani al debuttante Regno d’Italia. La base operativa per organizzare la nuova insurrezione è un lanificio, sito a Trastevere, in via Lungaretta, 97, di proprietà dell’imprenditore Giulio Ajani, amico e vicino di casa della famiglia di Giuditta, nonché convinto predicatore degli ideali repubblicani.

Per ben due anni si studia un piano per riconquistare Roma, e finalmente nell’ottobre 1867 arriva una buona notizia che spingerà verso la battaglia: il Regno d’Italia si è reso disponibile ad intervenire in caso di ribellione nello Stato Pontificio, assicurando ai rivoltosi anche la neutralità francese, che tuttavia, non sarà effettiva. Convinti da queste rassicurazioni, i rivoluzionari del Lanificio – in accordo con i fratelli Cairoli di stanza a Villa Glori e con le truppe garibaldine già impegnate nella Campagna dell’Agro romano – si muniscono di più armi possibile: lo scopo primario è far cadere definitivamente il governo di Papa Pio IX e dichiarare Roma città italiana. Mentre i Fratelli Cairoli, la sera del 23 ottobre insorgono a Villa Glori, e mentre Garibaldi, la mattina del 25 ottobre, conquista Monterotondo, circa una sessantina di patrioti del Lanificio – intorno a mezzogiorno sempre di venerdì 25 ottobre – si riuniscono per “l’ultimo pasto” condiviso, per distribuire armi e definire gli ultimi dettagli per la nuova insurrezione; al gran banchetto patriottico partecipa ed interviene attivamente anche Giuditta, leader dell’operazione, accompagnata da uno dei tre figli, Antonio.

Le due guerre che hanno sconvolto il mondo

Ma l’andirivieni dall’edificio di via Lungaretta, insospettisce già da qualche giorno le autorità pontificie, definitivamente allarmate da un bigliettino anonimo recapitato a Monsignor Randi – ministro di polizia dello Stato pontificio e Governatore di Roma – in cui si riporta la presenza di agitatori, intenti a distribuirsi armi. La soffiata anonima è presa sul serio dal cardinale che invia varie pattuglie di zuavi pontifici per via del Moro, che attaccano la sede del Lanificio Ajani: avvisati dalle vedette i ribelli, guidati da Giuditta, insorgono, imbracciano i fucili e sparano all’impazzata per difendersi, ma la superiorità delle truppe pontificie e, soprattutto, l’imprevedibilità di un attacco così massiccio, bagnano le stanze dell’edificio di cospicuo sangue. Giuditta non si arrende, continua ad impartire ordini ai compagni in quella estenuante lotta, eppurei gendarmi riescono comunque ad entrare nella struttura, arrestando alcuni tra i congiurati feriti, mentre altri riescono a mettersi in salvo.

La furia zuava non si limita ai semplici arresti; è imperativo trovare chi sta guidando la rivolta e giustiziarlo: così nove rivoltosi vengono uccisi, o meglio scannati barbaramente e tra le vittime del vile attacco si contano anche Giuditta, incinta del quarto figlio, suo marito Francesco e loro figlio appena adolescente. L’eroica donna, rifugiatasi nelle stanze ai piani superiori con i famigliari e altri sopravvissuti, viene accerchiata dai militi pontifici, che le squarciano il ventre e con altrettanta brutalità tolgono la vita al feto portato in grembo. Giuditta fu una donna estremamente coraggiosa: anche se non imbracciava un fucile, le sue doti di organizzatrice e, ancor più, la sua capacità di infondere negli animi dei combattenti coraggio e spirito patriottico furono essenziali alla causa repubblicana. Riporta una targa dentro l’ex-lanificio:

“La famiglia Arquati, le antiche virtù romane, qui, con prodigo eroismo, Giuditta Tavani Arquati contro le masnade straniere, combattendo, rinnovava dopo l’espugnazione dai vili mercenari, col figlio e col marito assassinato, impose il suo nome, invendicato ancora alla venerazione dei posteri”. 

Il sacrificio di Giuditta riesce quindi a sopravvivere, non cade nel dimenticatoio: vent’anni dopo la sua morte (nel 1887) i reduci fondano l’Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati, ma, nel periodo fascista, viene sciolta per diffusione di ideali invisi al regime. Dopo la costituzione della Repubblica italiana l’associazione riprende vita, contribuendo ancora oggi a ricordare l’eroina trasteverina che continua ad incarnare lo spirito laico e libertario della Roma risorgimentale e non solo: la sua tragica morte è ancora espressione di quel vento unitario che ha alimentato la nascita della nostra nazione, un vento fatto di sangue, sacrificio e dolore, per un ideale così importante e ancora oggi, purtroppo, così fragile.

Di: Simona Amadori

Fonti:
AA. VV., Il Risorgimento dei romani – Fotografie dal 1849 al 1870, Gangemi Editore, Roma, 2011
Adriano Sconocchia, Le camicie rosse alle porte di Roma, Gangemi Editore, Roma, 2016
Isaia Ghiron, Il valore italiano: storia dei fatti d’armi e atti di valore compiuti dal 1848 al 1870 per l’indipendenza d’Italia, Ghione e Lovesio Editori, Roma, 1883

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *