Con il Congresso di Bari del 1994, il Comitato di Liberazione Nazionale aveva visto riconosciuta una certa legittimazione sul piano costituzionale, come soggetto istituzionale con cui la monarchia e gli Alleati dovevano stabilire un confronto.
Il CLN non riuscì nell’immediato ad ottenere però l’abdicazione del re, anche per il sostegno inglese alla causa monarchica. Vittorio Emanuele III infatti, nonostante l’apertura al CLN, continuava a rifiutare di sottostare alla volontà dell’istituzione formata dai partiti che partecipavano alla Resistenza. Questa opposizione del re creava di fatto una condizione di stallo in una situazione complessa. Il monarca continuava a sostenere un ritorno allo Statuto senza passare per un’Assemblea Costituente, mentre il CLN e tutte le forze antifasciste ritenevano preliminare rifondare la coabitazione collettiva con nuove elezioni per l’Assemblea Costituente. Il re cercò di procrastinare il più possibile, ma fu costretto a comprendere che, per salvare l’istituto monarchico e risolvere l’impasse politica, doveva concorrere a una soluzione con il nuovo potere dei partiti. Si trattava quindi di cercare una soluzione alternativa all’abdicazione. Questo compromesso con il re iniziò a prendere forma lentamente grazie all’opera di persuasione condotta da Benedetto Croce ed Enrico De Nicola. L’idea era di convincere il re a nominare un luogotenente generale e a ritirarsi a vita privata senza l’ abdicazione formale.
«Ponendo in atto quanto già comunicato alle Autorità alleate e al mio Governo, ho deciso di ritirarmi dalla vita pubblica nominando Luogotenente mio figlio, Principe di Piemonte. Tale nomina si attuerà mediante il passaggio ufficiale dei poteri lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno a Roma […] Tale decisione è definitiva e irrevocabile.»
Con la liberazione di Roma il 4-5 giugno 1944, il re Vittorio Emanuele III con decreto istituì formalmente la figura della “luogotenenza del Regno “ in favore di suo figlio Umberto principe di Piemonte. Egli scelse di non abdicare, atto che avrebbe fatto solo nel maggio 1946. L’atto di nomina recava il titolo “Nomina di S.A.R. Umberto di Savoia, Principe di Piemonte, a Luogotenente Generale del Re”. Non ricorreva più la più ambigua formula di Luogotenente del Regno usata nei documenti precedenti. Questo slittamento di vocaboli da Luogotenente del Regno a Luogotenente Generale del re, usata nelle formule successive, celava in modo non evidente un cambiamento del compito di Umberto, che era chiamato a svolgere.
Infatti, si trattava di un incarico che andava oltre la semplice luogotenenza del re nelle sue funzioni e costituiva una transizione che coinvolgeva anche le funzioni regie. La formula adottata non superava le perplessità sul piano giuridico. In passato la nomina di questa figura prevedeva una durata limitata nel tempo e una delega parziale dei poteri compiuta dal re per sua volontà. Esempi in questo senso si possono trovare nei luogotenenti regionali nelle guerre di indipendenza con la luogotenenza generale affidata sempre a un principe reale. In questa situazione la nomina avveniva in altri termini, mancavano le ragioni di impedimento, la temporaneità, il carattere limitato e la possibilità di revoca del sovrano. Inoltre, in passato, questa figura aveva affiancato il re e non sostituito totalmente il sovrano. La figura istituzionale del luogotenente pertanto assomiglierebbe molto di più a quella reggenza ben disciplinata dagli artt. 12-17 dello Statuto Albertino e quindi molto delineata nei poteri. In base al decreto di nomina si può quindi sostenere che il Luogotenente doveva provvedere in nome del re ad esercitare i poteri regi; ciò sottintendeva che il re era ancora titolare della corona e conservava i poteri che lo Statuto gli attribuiva.
Di: Francesco Sbalchiero Sunil
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