Tempo di lettura: 5 minuti
Sostieni il nostro lavoro storiografico indipendente tramite:
La presidenza della Repubblica tra tutte le istituzioni repubblicane è quella che offre la resistenza maggiore all’inquadramento e alla sistemazione teorica. Per questo è stata definita da molti studiosi un’ istituzione a fisarmonica, in grado di estendere o ridurre le proprie prerogative in base alle diverse situazioni.
Il ruolo di Presidente della Repubblica fu interpretato tranne alcune eccezioni, come la presidenza di Giovanni Gronchi in modo abbastanza notarile, anche se i presidenti della repubblica si erano progressivamente discostati dal modello einaudiano. L’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica il 9 luglio 1978 modificò radicalmente il modo di interpretare questo ruolo.
La scelta di Sandro Pertini che aveva ottantadue anni ed aveva lasciato la Presidenza della Camera nel 1976, fu frutto di un compromesso tra i partiti. Infatti per il Pci l’obbiettivo era di evitare la nomina al Quirinale di una figura troppo legata al segretario del Psi Craxi come Vassalli, ma anche evitare l’imposizione di candidato della Democrazia Cristiana.
Il segretario del Psi propose una lista di quattro nomi: De Martino, Giolitti, Bobbio, Pertini sul primo pesava ancora la vicenda del rapimento del figlio, il secondo incontrò il veto del Pci in quanto era ancora aperta la ferita di quando Antonio Giolitti, considerato il delfino di Togliatti, nel 1956 lasciò il Pci in quel momento molto difficile. Norberto Bobbio rappresentava una candidatura di bandiera non di un effettivo concorrente per il Quirinale.
Restava quindi il nome di Sandro Pertini che però incontrò alcune perplessità in alcuni esponenti della Dc come Oscar Luigi Scalfaro, che lo considerava inadatto a ricoprire tale carica e Mario Segni che considerava la scelta di Pertini come pericolosa. La Dc propose il nome di Ugo La Malfa, ma il suo nome incontrò il veto di Craxi; il Pci rischiava ancora una volta l’accusa di subalternità verso la Dc da parte di Craxi, quindi sostenne il socialista più gradito per le stesse motivazioni per cui era scettica la Democrazia Cristiana. Pertini era privo di una corrente all’interno del Psi, estraneo ai giochi di potere, poco incline alle dispute ideologiche compresa l’ultima lanciata da Craxi contro il Pci di veteroleninismo. Pertini in quell’occasione non prese alcuna posizione e fu un silenzio gradito dal Pci.
Il 1 luglio con una dichiarazione si giocò bene le sue carte, sostenendo la possibilità di una sua candidatura solamente in caso di gradimento di tutti i partiti impegnati nell’esecutivo di solidarietà nazionale. Questa dichiarazione può sembrare quasi un ricatto alla Dc e al Pci che avevano tutto l’interesse a salvaguardare il governo in quella delicata fase politica, ma furono anche delle parole di auto investitura al ruolo di garante del grande e difficile accordo raggiunto con il varo del governo di solidarietà nazionale. L’elezione di Pertini avvenne con il sostegno di tutti i partiti che appoggiavano il governo di Andreotti cioè tutti tranne il Pli, l’Msi, i radicali e l’estrema sinistra, dopo sedici scrutini con 832 voti su 995.
Il carattere di Pertini lo portò ad interpretare il ruolo di Presedente della Repubblica in modo nuovo; un ruolo centrale nel mitigare alcuni aspetti del carattere del Presidente fu quello del Segretario generale della presidenza della Repubblica Antonio Maccanico. Il rapporto tra queste due figure caratterizzerà il settennato di Pertini. Nei diari di Maccanico emerge la costante preoccupazione che i gesti di Pertini non intaccassero la sua popolarità e come questa popolarità fosseuna risorsa preziosa per procurare nuova e ritrovata legittimità a questa istituzione.
Secondo il Segretario generale questo caratteristica del settennato di Pertini aveva una forza unificante, ma ne aveva colto alcuni limiti e pericoli non secondari come: «l’approfondirsi del divario agli occhi dell’opinione pubblica tra la rispettabilità del Presidente, la pulizia, l’umanità, l’amabilità della sua immagine e la indegnità complessiva della classe politica nel suo insieme».
Il secondo limite individuato da Maccanico nel comportamento di Pertini come annota nei suoi diari è questo: «Il secondo è l’accumularsi incessante di aspettative e di soluzioni miracolistiche ad opera del Presidente».
Nelle valutazioni di Maccanico questi due pericoli non dovevano essere sottovalutati in quanto avrebbero potuto provocare difficoltà ulteriori e spinte disgregative più forti, fatti questi dovuti ad una maggiore disinvoltura del Presidente nel trattare con le forze politiche.
Questi atteggiamenti del Presidente della Repubblica suscitarono diverse polemiche durante il settennato, ma l’interventismo di Pertini può essere ricondotto in parte, all’eccezionalità della situazione italiana. Questo interventismo di Pertini, portò il ruolo del Presidente della Repubblica dall’essere un notaio all’essere un «magistrato politico».
Un elemento di novità che gli permise di agire in modo diverso questa funzione fu la consapevolezza di quanto fosse superiore la legittimazione del suo ruolo rispetto ai suoi predecessori. Questo gli consentì di rivendicare per il suo ruolo maggiori prerogative e poteri, in contrapposizione agli altri poteri dello Stato che erano delegittimati. Pertini quindi si sentì investito di una vera e propria missione per la rigenerazione del sistema politico e delle istituzioni.
Il tentativo iniziale di poter intervenire nella politica nella sua quotidianità e nelle sue pratiche si rivelò un terreno ostico per il Presidente, ma inizialmente sembrò riuscire ad indirizzarla o a piegarla alla sua visione, ma aveva una sua visione idealizzata e semplificatoria della politica lontana dagli interessi e dalle dinamiche politiche.
Il presidente Pertini dovette affrontare nel corso del suo settennato otto crisi di governo, intervallate da due scioglimenti anticipati delle Camere nel giugno 1979 e nel giugno 1983 in un quadro politico prima transitorio e instabile, poi in evoluzione verso la formula del pentapartito. Molti studiosi attribuiscono a Pertini un attivismo creativo nella formazione dei governi come ad esempio nella gestione della prima crisi di governo compì due atti eterodossi rispetto alle consuetudini con l’incarico affidato a La Malfa. Pertini evitò, per la prima volta dal 1948, il condizionamento del partito della maggioranza relativa. Il secondo atto eterodosso fu che quando incaricò Andreotti, nome scelto dalla Dc, vincolò l’incarico alla scelta di due vicepresidenti designati dal capo dello Stato. E’ per questo modo di procedere con la forzatura dell’articolo 92 della Costituzione, che il governo Andreotti V,fu definito da alcuni commentatori un governo del presidente.
Pertini quindi inaugurò un nuovo modo di essere capo dello Stato, estendendo notevolmente le proprie prerogative e personalizzò molto il ruolo del Presidente della Repubblica con accrescimento della sua influenza politica. Questo nuovo modo di svolgere tale ruolo fu in molti casi modello per i suoi successori.
Fonti:
S. Colarizi, Sandro Pertini, in I Presidenti della Repubblica, (a cura di) S. Cassese, G. Galasso, A. Melloni, Il Mulino, Bologna, 2018.
A. Maccanico, Con Pertini al Quirinale, (a cura di) P. Soddu, Il Mulino, Bologna, 2014.
T. L. Rizzo, I Capi dello Stato, Gangemi Editore, Roma, 2015.
M. Tebaldi, Il Presidente della Repubblica, Il Mulino, Bologna, 2005.
G. Scaccia, Il Presidente della Repubblica, Mucchi, Modena,2015.
Sostieni il nostro lavoro storiografico indipendente tramite:
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Correlati