Totò e la Chanteuse: la triste storia di un amore finito in tragedia

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Cuore
Ho preso questo cuore mesto e afflitto,
e triste l’ho gettato in mezzo al mare:
ma prima sopra col mio sangue ho scritto…
per non amare più, per non amare…

Quest’oggi parleremo di una storia, una sconosciuta ai più la quale, nel suo piccolo, rappresentò per il noto protagonista, il momento di vuoto che travolge la vita nelle fosche spire di qualcosa che anniderà per sempre un afflato di colpa. Parleremo di un amore, uno che si riflette in un’epoca  che pare interfacciarsi col tempo che si allontana dal presente, quasi come se ci traghettasse lontano in una realtà  laddove i gentiluomini ancora duellavano per l’amata.
Era l’anno 1929 allorquando alla fine di uno spettacolo lo sguardo del principe Antonio De Curtis si scontrò con quello della bellissima Eugenia Castagnola nota chanteuse conosciuta in arte come Liliana. Una bellezza talmente avvenente da indurre due giovani, qualche anno prima, a duellare per averla.  Costretta ad abbandonare la Francia, il destino la condusse  in quel di Napoli portando su di lei la “scarlatta ” nomea di ” mangiatrice d’uomini”. Ai suoi piedi storie rocambolesche, suicidi d’amore, uomini trafitti dal suo penetrante sguardo di donna dalla crudele bellezza, una condanna e un miracolo che riempie l’anima e allo stesso tempo la svuota.

Un incontro, il giovane comico svanisce il suo sguardo di fronte al vortice della femminilità di Liliana e così, con un biglietto galante, l’arco scoccò una freccia invisa da ciò che agli occhi degli astanti è “morale” è “consono”.

“È col profumo di queste rose che vi esprimo tutta la mia ammirazione”

Lei la cui libertà feroce l’aveva condotta sui legni dei più importanti teatri d’Europa, lei la  chanteuse che incanta, incatenata ad un amore folle che corrodeva entrambi dilaniati com’erano dalla gelosia.

“Guai se mi mancassi, un tuo bacio è tutto” 

Morbosa e sofferente per quel giovane attore di teatro che le sfuggiva brandendo l’arma della vita che scorre, la sua stella diventa fioca e cadente. Lui al nascere di una carriera proficua, lei al tramonto di una vita che pare  svanire nelle pieghe di un giorno al quale non riesce più ad incastrare il sogno di un progetto se non legato a quell’amore. Effimero e trasognante, il mondo si muove negli occhi di Liliana come la pantomima del cielo che cambia forma e colore, il quale seppur simbolo di libertà, l’incatena al vuoto e alla solitudine respinta com’è da Antonio. Quest’ultimo, infatti,  soffocato dalla brama d’affetto della sua amante si getta nel lavoro abbandonando all’oblio quelle braccia fitte degli strappi d’amori fugaci.

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Fu solo la morte a liberarla della sofferenza di una vita vissuta nella ricerca di un bene che non può toccarsi, uno che non svanisce negli intenti del giorno né nelle ragioni della società. La sua condanna in un bicchiere d’acqua, la sua fine in una stanza d’albergo custode di quell’amore senza via d’uscita.

Così il 4 maggio 1930 Antonio De Curtis, in arte Totò, fu straziato dalla notizia che Liliana aveva  perso la vita ingerendo una quantità elevata di Veronal (sonnifero). Quella notte aveva indossato il suo vestito più bello, e nel mentre le ore scorrevano assieme alle lacrime che le fendevano le gote, la vita svaniva lentamente, così leziosa da offrirle un’ultima concessione, qualche parola su un foglietto di carta…


“Antonio, potrai dare a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda lei, anziché chi mai mi ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l’ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano… Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Antonio, amore mio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l’ho giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi. E, ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù per la strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero?… Addio. Lilia tua”

C’è una dolce sinfonia che intona la sua melodia tra le nuvole di un dolore che non si estinse negli anni, uno che indusse il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, a ricordare quell’amore tra le righe di un tempo che gli concesse il velo della malinconia nell’effimero firmamento di due occhi che si chiusero per lui.
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