10 aprile. È di qualche giorno fa la notizia dell’esistenza di una serie di gruppi Telegram, nati in Russia ma diffusasi in molti altri Paesi, tra cui l’Italia, in cui ci si scambiava e si postavano video e foto intime di ex fidanzate, fidanzate, ma anche semplici foto di primi piani al viso, numeri di telefono, nomi e cognomi di donne, indirizzi di residenza delle stesse, insulti sessualmente negativizzanti, auguri e minacce di stupro. Più altri materiali e richieste pedopornografiche, evidentemente avanzate da soggetti mentalmente problematici. Alcuni uomini che fanno parte, hanno fatto parte e faranno parte di questi gruppi sono sicuramente persone con problematiche di ambito psicologico, ma la maggior parte no. La maggior parte è gente normalissima: padri, fratelli, fidanzati, amici, parenti, forse il medico di base, il fruttivendolo sotto casa, quel vicino tanto gentile. Mi auguro poi che la maggior parte di loro non chieda materiale né lo divulghi, né insulti o minacci, ma si limiti a guardare. Sarebbe rassicurante pensare che le persone fautrici di queste azioni siano individui eccezionali e disturbati, bestiali. Invece no. Sono persone normalissime, che magari conosciamo e a cui vogliamo bene.
Ma la cosa di gran lunga peggiore che facciamo ai maschi, facendo intendere che devono essere duri, è che li lasciamo con degli ego molto fragili […] e poi facciamo un lavoro anche peggiore con le ragazze, perchè le educhiamo a soddisfare i fragili ego degli uomini
Chimamanda Ngozi Adichie, Dovremmo essere tutti femministi
Questo tipo di violenza, la violenza contro le donne e la loro denigrazione sessuale è sempre esistita, ben prima della nascita di Internet e della rivoluzione sessuale, ben prima delle battaglie delle femministe. Le donne sono sempre state sottomesse sessualmente, represse. Per via di una forma di potere. Quei gruppi Telegram, così come i forum degli Incel, degli uomini che odiano le donne, non hanno niente a che vedere con il sesso: hanno a che vedere con il potere.
Un grave errore che si commette quando si parla di violenza è quello di non riconoscere che si tratti di una questione politica fortemente radicata nella società. Un altro problema è che molto raramente si decide di narrare questo fenomeno endemico assumendosi la responsabilità che, narrandolo, gli si stia anche dando una forma. Immagini ricorrenti nei giornali, ma anche nelle campagne di prevenzione, sono quelle di corpi colonizzati, di donne giovani, dalle forme vittimizzate e martoriate, in uno spettacolo erotizzato e voyeristico. Sono donne oggettivizzate, spersonalizzate, incapaci di reagire e sopratutto sole e isolate. In queste immagini compaiono solitamente tre motivi ricorrenti: uno strappo nei vestiti o la mancanza di una scarpa (per epitomare il segno della violenza subita), una parte del corpo scoperta (a suggerire la violabilità del corpo femminile), infine i capelli scompigliati (a indicare, al contrario dei capelli in ordine o legati, simbolo di una sessualità addomesticata, una sessualità trasgressiva, la trasgressione di un codice morale). I capelli coprono il viso della donna raffigurata, la vergogna nasconde il suo volto perchè è lei a dover portare il peso dello stigma sociale, nonostante sia stata rappresentata come indifesa. Infine l’uomo non è mai presente in queste immagini, se non in forma di ombra minacciosa; il suo volto non compare, come se il problema della violenza maschile sia unicamente un problema delle donne. Si tratta di una de-responsabilizzazione dell’uomo che si attua eliminandolo dalla scena del delitto. Ma l’assenza del viso maschile conferma anche l’irrapresentabilità di colui che compie una violenza. Conferma che sia incomprensibile l’atto violento maschile verso la donna come atto razionale, perfettamente indagabile e non frutto di un “raptus” o di “un momento di follia”. L’unico caso in cui l’aggressore ha un volto è quando si tratta di uno straniero: allora la dimensione di genere si unisce a quella etnica, con implicazioni xenofobe, ben riassumibili nel luogo comune che vede l’uomo straniero come una persona barbara, che appartiene a una religione considerata violenta (spesso l’islam). Un altro modo per lavarsi le mani, la coscienza e cercare di considerare la violenza come caratterizzante di un popolo non nostro, inferiore, fanatico religiosamente o, se il colpevole è italiano, come una mela marcia, un’imprevedibile falla nel sistema.
Judith Leyster, La proposta, olio su tavola, 1631. il dipinto raffigura una donna china su un lavoro di cucito mentre un uomo le tocca un braccio e le offre una manciata di monete. come hanno osservato Anne Harris e Linda Nichlin, “[il dipinto] le guadagna [alla pittrice] la simpatia di tutte le donne cui è capitato un analogo approccio da parte di un uomo ostinatamente deciso a non credere che i suoi complimenti non siano graditi“.
La costruzione dell’identità dei generi è avvenuta per un percorso basato sugli opposti, oltre che sul dominio: l’uomo lavora, è il capofamiglia, il tutore delle sue donne; la donna partorisce, tiene la casa, cresce i bambini. Le donne che nel ‘500 venivano processate per stregoneria erano per la maggior parte donne anziane, si pensava fossero animalescamente libidinose, più tentate a far patti col demonio perché spesso vedove e poverissime, inoltre talvolta la senilità e la soggezione o l’ignoranza le portava a credere di essere effettivamente colpevoli di stregoneria, di maleficia o peggio ancora di satanismo. Soprattutto erano malviste perché prive di marito, costrette a vivere insieme ad altre donne in forme comunitarie per sopravvivere, sottratte dal controllo di un tutore maschio. Le torture durante i loro processi, quando avvenivano, spesso erano a sfondo sessuale. Perché la dominazione sessuale non consensuale è una forma di potere molto profonda, devastante.
Dicevamo: la costruzione del genere uomo-donna è una costruzione sociale e culturale, ma nel mondo occidentale è rimasta invariata per millenni. Verso la fine del ‘700, in concomitanza con la Rivoluzione francese Olympe de Gouges, nell’autunno 1791 pubblica la “Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine”. Per lei la Costituzione era illegittima, le donne dovevano partecipare a una loro Costituzione. La sua Dichiarazione, come quella dell’uomo e del cittadino è articolata in 17 articoli. La dedica alla regina Antonietta, l’unica donna col potere. Olympe dice: “aboliamo il matrimonio”. La sua Dichiarazione sarà ignorata, considerata troppo radicale. Olympe chiede diritti anche per tutti gli uomini. Pensava che il diritto di voto dovesse essere il primo ad essere rivendicato, per avere rappresentanti donne. Credeva che dal diritto politico, di cui lei esigeva il riconoscimento, sarebbero derivati tutti gli altri: quello civile e quello sociale. Oggi sappiamo che il voto alle donne non garantisce una rappresentanza in percentuale femminile paritaria a quella maschile, ma all’epoca la sua pretesa fu uno stravolgimento impressionante dell’ordine costituito. Mi piace pensare che sia stato il primo atto di sovversione dei generi documentato. Sappiamo che affinchè le donne possano votare prima lo devono poter fare tutti i maschi: il diritto alle donne verrà solo dopo il suffragio maschile. Ma per la prima volta, grazie ad Olympe, le donne dissero: non solo gli uomini, vogliamo votare anche noi. Un’altra femminista, inglese questa volta, Mary Wallstonecraft, sostenitrice di una posizione femminista non suffragista, nel 1792 pubblica il testo fondativo del femminismo anglosassone, “La Rivendicazione dei diritti della donna: con critiche sui soggetti politici e morali” che stabilisce che alla donna dovrebbe essere riconosciuta la possibilità di sviluppare a pieno le proprie facoltà e che all’origine della propria inferiorità vi sia l’educazione, diversa da quella riservata ai bambini, in quanto si ritiene che il bambino debba ricoprire un ruolo nella società, mentre quella della bambina è improntata alla seduzione, e non la stimola ad interessarsi delle vicende del mondo. L’educazione, denuncia l’opera filosofica, naturalizza e perpetua l’inferiorità, ed è quindi necessario migliorare l’educazione femminile. L’educazione come strumento di miglioria sociale è un concetto interessante e ancora molto attuale.
Da lì, due secoli di cambiamenti: le donne possono decidere del loro destino, della loro vita. In Italia, grazie anche ai gruppi femministi degli anni ’60-’70 (quando le donne costituirono dei propri collettivi, non riuscendo a ricoprire che ruoli marginali nei gruppi studenteschi e operai, guidati da maschi) le donne tramite la legalizzazione della contraccezione possono deliberare in merito alla loro sessualità, la loro sorte non è più essere madri di numerosa prole. Con il diritto alla IVG esercitano libero arbitro sul proprio corpo, non sono più ufficialmente le custodi della vita (ufficiosamente già in epoca moderna circolavano preservativi, per chi se li poteva permettere e il coito interrotto così come l’aborto era diffuso). Ora tutto è ufficiale. Le donne conquistano ruoli storicamente maschili. E gli uomini? Qui il discorso si fa interessante, perché una volta che cambia l’identità femminile, “mascolinizzandosi”, quella maschile entra in crisi. E qui inizia il femminismo scomodo, quello che molti vorrebbero limitato al girl power e agli slogan ad effetto. Qui si parla di fare rivoluzione culturale, di osservare, come anticipava Simone de Beauvoir nel 1949, che spesso i bambini vorrebbero essere delle bambine per ricevere più affetto, mostrarsi fragili ed esprimere le proprie emozioni. L’ho sempre trovata una frase vera e molto triste. Una donna può essere mascolina, può lavorare, può essere pelosa e rozza o vestirsi in abiti maschili. Un uomo non può fare il contrario. Molto spesso si vergognerà a piangere in pubblico, o a commuoversi mentre fa l’amore, non è altrettanto libero di essere più “femminile”. Il travestitismo è sempre stato diffuso. Le donne si travestivano per inseguire un amore (uomo o donna), per migliorare le proprie condizioni di vita e, se scoperte, se giudicate invertite, dopotutto non erano malviste quanto gli uomini che si travestivano da donne. Le motivazioni che spingevano uomini e donne a travestirsi potevano essere diverse, e certamente comprendiamo come una donna, travestendosi, potesse avere più possibilità di costruirsi un futuro soddisfacente. Eppure c’è qualcos’altro, qualcosa che non vogliamo vedere. Gli uomini ancora oggi non possono essere femminili perché ancora oggi noi crediamo che le donne siano inferiori. E se non fosse così quei gruppi raccapriccianti non esisterebbero. Se non fosse così nessuno di noi userebbe la parola “troia” per indicare quella ragazza più carina e desiderata di noi. Né chiameremmo “troia” quella che ci respinge. Non esisterebbe il detto “una chiave che apre tante porte è una buona chiave, una porta aperta da tante chiavi non è una buona porta”. Ma per riconoscerci intrinsecamente maschilisti, per apprendere che abbiamo interiorizzato una mentalità misogina pericolosissima dobbiamo metterci in discussione, e magari scoprire di aver contribuito a costruire quella cultura patriarcale che è l’iceberg sotto l’acqua, mentre quei gruppi Telegram sono solo la punta.
Molti bambini, impaurita dalla severa indipendenza cui vengono condannati, vorrebbero essere femmine […]Ma questa posizione di svantaggio rispetto alle bambine dipende dai grandi progetti che si fanno per il maschietto: la severità cui viene sottoposto implica un’immediata valorizzazione.
Simone de Beauvoir, Il Secondo Sesso
Forse il mondo sarebbe un posto più felice se le donne non venissero più punite per essere “maschili”, cioè libere anche in senso intimo, anche nella sessualità. Se il sesso non fosse più lo strumento di potere anche dei maschi post ’68 per cercare di non far crollare un’idea di virilità e un costrutto di se stessi che sta andando in frantumi. Se i maschi lottassero come femministi, comprendendo finalmente che la mentalità maschilista che opprime noi donne opprime anche loro, che sarebbero più felici se riuscissero ad essere più femminili. Gli unici uomini che per ora portano l’onta di essere femminili sono gli omosessuali. E sapete perché? Perché, non stando con una donna, dagli albori dei tempi sovvertono quell’ordine sociale sacro e severissimo. E, come ho detto prima, essere più donna, significa, per molti e molte, essere inferiori. Eppure loro, forse nella mia ignoranza, mi sembrano in un certo senso più liberi di tanti uomini eterosessuali che perfino ignoravano quei gruppi Telegram, ma che ridevano, come altrettante donne, a battute di infimo gusto o che non battevano ciglio se in un gruppo whatsapp degli amici venivano condivisi contenuti deprecabili. Eppure sono questi gesti passivi e remissivi che contribuiscono alla sopravvivenza di un certo modello di pensiero. Sono le azioni ordinarie e banali, scontate, considerate innocenti, che costituiscono la base dell’iceberg. Quei gruppi esisteranno sempre finchè esisterà la mentalità che li sostiene, è inutile raschiare il vertice.
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Non ci si protegge dal revenge porn evitando di farsi certe foto o video. Non semplicemente perchè non si tratta di azioni sbagliate, che non ledono niuno (neanche le stesse donne protagoniste: la dignità non può essere limitata a ristretti codici morali) ma perché altre foto, anche solo di visi, nomi, indirizzi, photoshop vengono comunque fatti. Perché, ancora: è una questione di potere, non di sesso. Anche se la prevaricazione sessuale è una forma di potere. Perché noi donne, ora e da sempre, siamo delle poco di buono fin dalla nascita, ma forse non lo saranno le nostre figlie e le nostri nipoti. Ci sono uomini che ancora oggi, intimoriti, hanno bisogno di molestare una donna per sentirsi forti, perché gli hanno insegnato che la loro identità si costruisce in questo modo. Ci si protegge con la cultura. Con una cultura che inizia fin da piccolissimi e che mette in discussione, capillarmente e radicalmente, anche noi stessi. E’ più difficile. Cominciamo a non pensare che le ragazze debbano proteggersi (cosa che, come anticipato sopra, è inutile e de-responsabilizza gli uomini), ma che debbano essere rispettate; diciamo, sopratutto ai ragazzi, che non devono fare certe cose. Accettiamo che non abbiano il diritto ad esercitare questo tipo di potere, neanche quello di pensare che una ragazza sia “facile” se fa quello che vuole del proprio corpo. Invitiamo gli uomini a costruire una società migliore anche per loro stessi. Le femministe lo hanno fatto da sole e ci sono riuscite e ci stanno riuscendo, ora tutti devono iniziare una rivoluzione culturale, scomoda, ma silente e assordante allo stesso tempo. Se gli uomini fossero davvero felici e soddisfatti di quello che sono e che contribuiscono ad essere non penso che avrebbero bisogno di divulgare, condividere o consumare certi contenuti (ci tengo a specificare che ovviamente non penso assolutamente che tutti lo facciano, ma alcuni; come alcune donne si sentano soddisfatte nel sapere che “quella se l’è cercata”, come a rimarcare la loro superiorità morale). Vanno cambiate le immagini stereotipate che abbiamo sia della donna che dell’uomo. Lungi da me giustificare i fautori di certe azioni criminali o anche solo chi (uomo o danna), non opponendosi a certe azioni o comportamenti, alimenta questo circuito, ma se essi fossero più liberi di chiedere aiuto e se l’immagine dell’uomo non dovesse essere per forza considerata virile, violenta, dominatrice, certi comportamenti endemici, e la stessa idea svilente di donna, esisterebbero ancora in queste proporzioni? Forse abbiamo smesso di dire ai bambini in maniera diretta di “non fare la femminuccia”, ma non so se abbiamo smesso di passare loro il messaggio che devono “comportarsi da uomo”.
Citando il film di Fellini “La città delle donne”, la Signora del treno in un momento del film pronuncia ad alta voce questa frase: “Noi vogliamo abitare la Terra!”; mentre in un altro momento il protagonista, Snàporaz, mormora, riferendosi a se stesso: “Il mascalzone non è cambiato…per diventare chi poi?”.
Fonti:
Wiesner- Hanks M., Le donne nell’europa moderna, Piccola Biblioteca Einaudi Storia, 2017, Torino
Levack B., La caccia alle streghe in Europa, Editori Laterza, 2003, Bari
Barbagli M, Storia di Caterina che per ott’anni vestì abiti da uomo,Società Editrice il Mulino, Bologna, 2014
de Beauvoir S., Il Secondo Sesso, EST, 1997
Chimamanda Ngozi Adichie, Dovremmo essere tutti femministi, Einaudi, 2014
(a cura di) Feci S., Schettini L., La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), Viella, 2017
Film La città delle donne, di Federico Fellini, 1980