3 falsi miti sulla tratta schiavistica

Tempo di lettura: 5 minuti Erroneamente, pensiamo di conoscere tutto sulla famosa tratta degli schiavi che, dal XVI al XIX secolo ha condizionato la storia del Nuovo Mondo. Eppure, molte convinzioni risultano essere solo delle banali convenzioni e luoghi comuni...
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Ad oggi si continua a pensare in modo sbagliato che la maggior parte degli schiavi africani partiti dal continente nero sia arrivata nelle nuove colonie americane, ma così non è stato. Si parla di circa 400 anni di schiavitù, ma essi furono in realtà molti di più. Si afferma spesso che tutti gli abitanti del sud degli Stati Uniti possedevano schiavi, ma la situazione era molto diversa. E, purtroppo, ancora in molti sostengono che si tratti di un fenomeno ormai superato e antico, ma non è così. L’obiettivo di questo articolo dunque non consiste nel vittimizzare alcune categorie di persone e demonizzarne altre, ma di descrivere oggettivamente eventi che sono accaduti e distinguerli da altri che risultano essere solo miti storici, alimentati e portati avanti da voci di corridoio, false trascrizioni, adattamenti cinematografici e insegnamenti scolastici pressappochisti.

Mito N°1: la maggior parte dei prigionieri africani fu trasportata negli Stati Uniti

Siamo portati a credere che, dei circa 10 milioni di schiavi trasportati nel Nuovo Mondo, la maggior parte si siano insediati in quelli che oggi costituiscono gli USA e che, proprio grazie a questo enorme numero di africani, si siano poste le basi per la Guerra di Secessione tra nordisti e sudisti. Ebbene, non è così. Secondo documentazioni moderne, che riportano dettagliatamente i numeri degli sbarchi nelle terre statunitensi, risulta che poco più di 300.000 prigionieri, cioè il 4-6% degli schiavi deportati, approdarono negli Stati Uniti. Ma allora, di quei 10 milioni di schiavi, dove fu dirottata la maggior parte?

Si suppone che, a causa dell’elevato numero di morti durante la traversata dell’Oceano, poco più del 10% degli schiavi raggiunse il nuovo continente. Tuttavia, se escludiamo questi numeri e consideriamo solo gli schiavi effettivamente approdati nel nuovo mondo da vivi, i più (circa il 40% sul totale) risultano essere sbarcati nell’attuale Brasile, all’epoca una ricca colonia gestita dai portoghesi, non a caso tra i primi ad inaugurare la Tratta Atlantica, dopo gli esperimenti delle piantagioni nel Golfo di Guinea, e tra gli ultimi ad abolirla in Europa, insieme a Spagna e Francia.

La seconda destinazione principale dei prigionieri africani furono invece i Caraibi, zona nella quale si crearono le principali piantagioni da cui gli europei si rifornivano. In queste zone i numeri parlano del trasferimento tra il 40 e il 50% degli schiavi africani, con diverse destinazioni però: dal Messico e il centro-america, alle regioni andine; dagli attuali Usa alla Colombia. Nonostante queste destinazioni secondarie, possiamo affermare con certezza che l’isola di Hispaniola e di Cuba accolsero almeno il 30% del totale della Tratta Atlantica e non a caso, proprio qui si formò la piccola enclave conosciuta con il nome di Haiti, la cui formazione deriverebbe proprio dall’unione di ex schiavi, alcuni affrancati nel tempo ed altri fuggiti dalle piantagioni che, unitisi tra di loro, decisero di formare uno stato indipendente, sotto la guida di Toussaint Louverture. Egli, nel 1804, guidò infatti la rivolta contro i francesi ed è tutt’ora considerato uno dei padri fondatori del primo stato non europeo nelle Americhe.

Fu proprio per il numero significativo di africani approdati in queste zone che essi, più tardi, vennero trasferiti nelle colonie americane dove furono istruiti alla vita nelle fattorie del sud. Il passaggio alla terraferma americana era dunque una ennesima prova da superare per tutti coloro che non erano morti a causa di nuove malattie europee o a causa del duro lavoro nelle piantagioni caraibiche e, una volta abituati al duro lavoro nei campi, solo i più forti vennero scelti per lo spostamento definitivo nelle piantagioni americane.

Ovviamente – ci teniamo a precisarlo – si tratta di numeri approssimativi, che variarono nel corso dei secoli a seconda della diversa richiesta da parte delle aree interessate a produrre. Dunque, se inizialmente il Brasile dominava la classifica delle destinazioni degli schiavi, nel XVIII-XIX secolo furono i Caraibi a ricevere maggiore manodopera africana, proprio a causa del maggiore sfruttamento e della maggiore richiesta alimentare proveniente dagli Usa, una superpotenza in crescita costante.

Un grafico che illustra i numeri della tratta atlantica degli schiavi

Mito N°2: la tratta schiavistica durò circa 400 anni

La cultura popolare sembra soffermarsi sul numero 400 quando cerca di stimare i tempi legati alla tratta degli schiavi africani. Sembra in effetti sussistere ancora molta confusione tra la Tratta Atlantica degli schiavi, durata secondo la storiografia attuale circa 400 anni (1440-1888) e l’istituzione della schiavitù e delle altre tratte schiavistiche. In realtà, la schiavitù non era affatto una esclusiva degli Stati Uniti o degli stati europei, ma essa fa parte della storia di quasi tutte le nazioni, a partire dalla civiltà greca e romana, passando per le dimenticate tratte delle schiave europee, fino a quelle verso i paesi islamici del nord dell’Africa e i paesi asiatici, denominate per l’appunto Tratta Omana o Tratta dell’Oceano Indiano e Tratta Transahariana o Tratta araba degli schiavi. Il tutto, senza dimenticare forme contemporanee di tratta di esseri umani. Insomma, la Tratta Atlantica sembrerebbe, sotto questo punto di vista, essere durata molto meno del resto delle tratte schiavistiche, cioè meno di 400 anni.

Ma quindi, come calcolare il periodo di tempo effettivo delle diverse tratte schiavistiche? Si tratta di calcoli molto difficili da effettuare, soprattutto per quanto riguarda la Tratta Atlantica, per il semplice fatto che i primi africani a sbarcare direttamente sul suolo americano lo fecero effettivamente solo nel 1619, il che farebbe credere che la tratta schiavistica operata verso le tredici colonie sia durata solo poco più che 200 anni.

Imprimere invece la tratta schiavistica nella storia dell’umanità, riferendosi generalmente prigionia di un qualsiasi essere umano, sarebbe forse il miglior metodo di tracciamento della schiavitù, storicamente parlando. E questa atemporalità dello schiavismo potrebbe farci aprire gli occhi anche e soprattutto sui fenomeni di schiavitù odierni, che spesso passano inosservati proprio perché si considera tale fenomeno appartenente ormai al passato ed abolito del tutto. Gli afroamericani infatti, sono stati affrancati negli Usa da circa 150 anni, il che significa che la maggior parte degli americani odierni è lontana solo due o tre generazioni dai propri antenati schiavi. E, cosa ancora più inquietante, le ex famiglie di schiavisti hanno costruito la loro eredità sull’istituzione e generato ricchezza a cui gli afroamericani non hanno avuto accesso per molto tempo. La segregazione infine, ha continuato ad accentuare le disparità di ricchezza e la discriminazione palese e nascosta nel paese, limitando de facto gli sforzi di livellamento sociale, che ancora oggi sono ben evidenti nel “paese della libertà”.

Mito N°3: tutti i sudisti possedevano degli schiavi

In realtà, nonostante le rappresentazioni cinematografiche e cartacee che hanno condizionato l’immaginario storico collettivo, solo il 25% di tutti i meridionali possedeva schiavi, ovvero poco più di 2 persone su 10. Certo, al giorno d’oggi il fatto che un quarto della popolazione meridionale fosse effettivamente schiavista è ancora scioccante a pensarci con il nostro metro di giudizio attuale.

Un'asta di schiavi intitolata "Negroes for sale" nel sud degli Usa
A Slave auction in Virginia, 1800s.

Prendendo nel dettaglio il caso del Texas, uno degli stati più grandi e popolosi del sud degli Usa, nel 1860 la popolazione ridotta in schiavitù ammontava a circa 182.566 persone, ma i proprietari di schiavi rappresentavano il 27% della popolazione e controllavano il 68% delle posizioni governative dello stato, ovvero il 73% dell’intera ricchezza. Si tratta di cifre sorprendenti, anche per meglio comprendere il divario economico tra americani stessi, con la maggior parte degli abitanti poveri o molto poveri e una piccola parte di abitanti ricchi, schiavisti e detentori del potere. L’attuale situazione nello stato Usa non è però troppo dissimile dall’epoca ed anzi il divario di reddito in Texas sembrerebbe essere oggi ancora più netto, con circa il 10% della popolazione che ha in mano il più del 50% del reddito dell’intero stato.

Resta comunque importante chiarire quanto più possibile che la schiavitù era un’istituzione economica estremamente diversificata, che beneficiava di lavoro non retribuito da persone attraverso una notevole varietà di contesti nel tempo e nello spazio. Credere ai falsi miti, cadendo spesso nelle banalità delle estremizzazioni da una parte e dall’altra, non solo crea danni alla storia, ma fa perdere di importanza un fenomeno che andrebbe maggiormente contestualizzato e più seriamente affrontato in ogni contesto, dai film hollywoodiani alla semplice aula scolastica.

Fonti:

Olivier Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, il Mulino, 2010

Convegno sullo schiavismo di Daina Ramey Berry, Professore associato di storia e studi sulla diaspora africana e africana, Università del Texas, Austin

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