Pur trattandosi di un tema di grande attualità e purtroppo tristemente legato alla realtà italiana, è importante volgere uno sguardo verso argomenti contemporanei e fondamentali, come fondamentali e inalienabili sono i diritti umani. Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità – Eleanor Roosvelt.
Gli “inizi”
Nel 2016, cinque anni dopo l’esplosione di risentimento popolare contro decenni di malgoverno e di repressione che ha spazzato via il regime autoritario di Hosni Mubarak, l’Egitto era tenuto nella morsa d’acciaio della repressione. Per spazzare via il dissenso almeno 34.000 persone erano finite dietro le sbarre – per stessa ammissione del governo – ma si potrebbe trattare di molte migliaia in più. Dalla cacciata di Mohamed Morsi nel luglio 2013, decine di migliaia di persone sono state detenute senza processo o condannate a pene detentive o di morte, molte dopo processi gravemente iniqui. L’organizzazione della Fratellanza musulmana (MB), precedentemente messa al bando da Hosni Mubarak e strettamente legata al Partito della libertà e della giustizia (il ramo politico della MB in Egitto), è stata bandita e riconosciuta come organizzazione “terroristica” da parte delle autorità. Mohamed Morsi, primo presidente democraticamente eletto in Egitto, è detenuto senza la possibilità di ricevere le visite dei familiari in attesa di esecuzione, insieme ad altri leader della Fratellanza musulmana e attivisti, da quando è stato deposto. La repressione da parte del governo è stata accompagnata da un aumento degli attacchi da parte di gruppi armati che hanno preso di mira polizia e esercito, persone comuni, ufficiali giudiziari e stranieri, a cui le autorità hanno risposto con una nuova legge antiterrorismo draconiana e altre misure alimentando ulteriormente l’erosione dei diritti fondamentali. Centinaia di attivisti e manifestanti politici, tra cui studenti, bambini e altri, sono stati arbitrariamente arrestati o rapiti dalle loro case o dalle strade e sottoposti a periodi di sparizione forzata da parte di agenti statali. Le persone detenute non hanno accesso nè alla famiglia nè agli avvocati e vengono detenuti al di fuori di qualsiasi ambito giudiziario. Le Ong locali stimano che nel 2016 in media tre-quattro persone vengono sottoposte ad una sparizione forzata ogni giorno in tutto il paese.
Dalla nomina del nuovo ministro dell’Interno, la Nsa (Agenzia nazionale per la sicurezza) è diventata la principale agenzia di stato impegnata nel reprimere il dissenso e l’opposizione, commettendo impunemente continue violazioni dei diritti umani. Questo rapporto si basa su 70 interviste con avvocati, operatori delle Ong, detenuti rilasciati e familiari delle vittime di tortura e sparizione forzata. Esso include 17 testimonianze dettagliate di alcune delle centinaia di vittime di sparizione forzata nel 2015 e nel 2016, la maggior parte sono uomini ma vi sono anche alcuni ragazzi di 14 anni. Amnesty International ha comunicato le sue preoccupazioni alle autorità nel 2014, nel 2015 e nel 2016 sull’uso delle sparizioni forzate, le torture e altri maltrattamenti da parte della Nsa e della Intelligence militare. Le autorità hanno comunque ripetutamente negato le violazioni dei diritti umani e hanno accusato Amnesty International di diffondere false idee e di sostenere gruppi “terroristici”, inclusa la Fratellanza Musulmana. Le autorità non hanno mai fornito prove a sostegno delle loro smentite.
Le condizioni umane
Molte delle vittime di sparizione forzata comprendono sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi, che continuano a essere presi di mira, ma anche sostenitori di altri movimenti politici, inclusi quelli secolaristi. Alcune vittime sembrano essere state arrestate dalle forze di sicurezza e sottoposte a giorni, settimane o mesi di sparizione forzata al fine di esercitare pressione sugli altri membri della famiglia presi di mira da parte delle autorità.
Durante i periodi di sparizione forzata, i detenuti sono stati tenuti nel centro gestito dalla Nsa, in particolare nel centro di Lazoughly che si trova all’interno della sede del ministero degli Interni nel centro del Cairo. Ironia della sorte, la sede del ministero degli interni e della Nsa sono a pochi metri di distanza da Piazza Tahrir dove nel 2011 migliaia avevano protestato contro il governo arbitrario e autocratico del presidente Hosni Mubarak. Molti detenuti stati tenuti in stazioni di polizia, sotto l’autorità della Nsa, ma senza essere inclusi nel registro ufficiale dei detenuti: alcuni sono stati trattenuti in campi gestiti dalla polizia antisommossa egiziana (le forze di sicurezza centrali) sia al Cairo o in altri luoghi sotto l’autorità della Nsa. Le persone detenute perché sospettate di coinvolgimento in attacchi alle forze armate sono stati trattenute in strutture di detenzione dell’Intelligence militare per essere interrogati prima di essere processati da tribunali militari. I detenuti sono stati interrogati dagli agenti della Nsa sulle loro opinioni politiche e sulle attività religiose, sul loro atteggiamento verso la Fratellanza musulmana e l’ex presidente Morsi, il loro coinvolgimento nelle proteste popolari, e su possibili collegamenti con altri ricercati dalle autorità o con persone già detenute a causa della loro opposizione al governo.
Molti detenuti, compresi i bambini, e le loro famiglie hanno raccontato ad Amnesty International di esser stati torturati e maltrattati in altri modi durante l’interrogatorio dagli agenti della Nsa per costringerli a implicare se stessi così come i loro amici o parenti che si oppongono al governo e per rendere “confessioni” da utilizzare al processo come prova contro di loro o contro altri al fine di imputarli con accuse penali. In alcuni casi, la Nsa ha videoregistrato tali “confessioni” e le ha fatte trapelare attraversare le agenzie di stampa per mostrare al pubblico egiziano e alla comunità internazionale che le forze di sicurezza egiziane sono impegnate nella lotta al “terrorismo” e che la maggior parte dei “terroristi” sono sostenitori di Morsi e membri della Fratellanza musulmana. Questi video potrebbero essere usati anche contro i detenuti in caso di successiva ritrattazione delle confessioni davanti al procuratore e al processo.
Diversi metodi di tortura vengono descritti dalle vittime e dai testimoni, tra cui l’applicazione di scariche elettriche sulle aree sensibili del corpo, come genitali, labbra, orecchie e denti, la sospensione prolungata per gli arti, abusi sessuali, tra cui stupro, percosse e minacce. Alcuni detenuti hanno descritto di essere stati sottoposti alla posizione della “griglia”: fatti ruotare mentre avevano una barra inserita tra le braccia e le gambe legate, tenuti in equilibrio tra due sedie. Molti di questi metodi di tortura sono gli stessi o simili a quelli usati dai Ssi contro i detenuti durante gli anni di Mubarak. Alcuni detenuti sono stati tenuti in condizioni di sparizione forzata per qualche giorno soltanto, ma altri sono rimasti vittime di sparizione forzata e senza alcun contatto con i familiari o con gli avvocati per diverse settimane o mesi – oltre sette mesi nel caso più estremo conosciuto da Amnesty International. La sparizione si è conclusa nella maggior parte dei casi quando le autorità hanno portato il detenuto davanti ad un procuratore per essere interrogato. Durante la sparizione forzata, i detenuti sono stati tenuti in isolamento, ammanettati e bendati quasi tutto il tempo e sono stati avvertiti che sarebbero stati puniti con sospensione per gli arti o percosse se avessero cercato di parlare con gli altri detenuti. Alcuni detenuti sospettati di partecipare ad attacchi contro le forze locali e al personale armato sarebbero stati portati in centri di detenzione o prigioni militari controllate dalla Intelligence militare per gli interrogatori, le torture e per essere eventualmente processati da tribunali militari.
Secondo la legge egiziana, il Pubblico ministero ha la responsabilità di assicurare che tutti gli arresti e gli stati di detenzione siano conformi alla legge e che i diritti dei detenuti siano garantiti, inclusa la protezione dall’essere torturati. Nella pratica però gli ex detenuti, le loro famiglie e i loro avvocati accusano i pubblici ministeri di essere complici delle violazioni dei diritti umani perpetrate dagli agenti della Nsa (Agenzia per la sicurezza nazionale) . In particolare, accusano i pubblici ministeri di non indagare sulle accuse di torture e maltrattamenti, anche quando i detenuti compaiono davanti a loro con ematomi o altri segni visibili di ferite che sostengono siano stati causati da torture, ne di dare ai detenuti la possibilità di essere sottoposti ad un rapido esame medico indipendente che possa documentare le ferite riportate. Accusano inoltre i procuratori di aiutare a coprire i periodi di sparizione forzata, e le torture che lo accompagnano, non correggendo le false date di arresto inserite dagli ufficiali della Nsa nei rapporti investigativi che forniscono le basi per costruire accuse penali contro i detenuti giustificando così i prolungati periodi di detenzione prima del processo. I procuratori continuano a essere fortemente dipendenti dalle “confessioni” dei detenuti, ottenute da funzionari della sicurezza durante il periodo di sparizione forzata, nonostante i detenuti ritrattino e ci siano chiare indicazioni che siano stati torturati durante gli interrogatori, e che poi utilizzano per formulare accuse contro i detenuti per autorizzare la loro ulteriore detenzione in attesa del processo. Nei casi in cui i pubblici ministeri si rifiutano, pochi quelli noti ad Amnesty International, di autorizzare l’ulteriore detenzione e hanno ordinato il rilascio di un detenuto, la Nsa è intervenuta e ha sottoposto l’individuo ad un rinnovato periodo di sparizione forzata prima di portarlo davanti a un pubblico ministero per affrontare nuove accuse in un nuovo caso penale, sulla base di un’altra “confessione” estorta con la tortura.
L’insabbiamento da parte dei procuratori delle violazioni commesse dalla Nsa è dovuta alla mancanza di indipendenza dell’ufficio del Pubblico ministero dal potere esecutivo. Il suo capo, il Pubblico ministero, e tutti gli altri procuratori, anziani e distrettuali sono nominati su approvazione del Presidente. Inoltre, il ministero della Giustizia ha il potere di stilare i rapporti sulle prestazioni dei procuratori e di adottare misure disciplinari nei loro confronti, così come quello di nominare di agenti di polizia per l’ufficio del pubblico ministero, anche in assenza delle qualifiche necessarie specificate negli standard internazionali.
L’Egitto non è parte della Convenzione internazionale sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, ma è stato parte della Convenzione contro la tortura e altri maltrattamenti e punizioni disumani, crudeli e degradanti (Convenzione contro la tortura) e altri trattati internazionali sui diritti umani che, in accordo sia con la costituzione egiziana sia con la legislazione nazionale, vietano le pratiche descritte nel presente rapporto. La costituzione egiziana, per esempio, vieta arresti e detenzioni senza un ordine giudiziario motivato e vieta la tortura; il codice di procedura penale (Ccp) richiede che la polizia faccia comparire le persone arrestate davanti ad un pubblico ministero entro 24 ore dal loro arresto, a seguito del quale un pubblico ministero può autorizzare l’ulteriore detenzione per periodi rinnovabili di quattro, 15 e 45 giorni eccetto in casi di persone arrestate in base alla legge contro il terrorismo, che permette alla polizia di trattenere un sospettato per 24 ore prima di essere portato all’attenzione di un procuratore. Il procuratore può quindi autorizzare una ulteriore detenzione per altri sette giorni senza poter contattare un avvocato o i familiari. Così, la legge facilita sparizioni forzate e viola la costituzione egiziana che assicura che chiunque privato della libertà deve essere in grado di contattare il proprio avvocato o la famiglia immediatamente.
Nonostante le crescenti prove di abuso, il governo egiziano continua a negare che le sue forze commettano sparizioni forzate, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani. Invece di riconoscere e affrontare il problema, il governo preferisce affermare che le accuse di violazioni dei diritti umani da parte delle sue forze non hanno fondamenta e sono il prodotto di una propaganda a favore della Fratellanza musulmana. Tuttavia, le smentite da parte del governo non reggono ad un esame approfondito, come i casi riportati in questo rapporto. Il numero, la gamma e la diversità delle vittime; le ampie prove di esperienze di arresto, la detenzione e sparizione forzata, e i tentativi falliti delle famiglie delle vittime di ottenere il riconoscimento ufficiale della detenzione o per individuarli dimostrano come non ci sia alcun dubbio che le sparizioni forzate siano utilizzate dalla polizia di stato in Egitto, indipendentemente dalle negazioni da parte del governo. Il fallimento continuo dei pubblici ministeri nell’indagare sulle accuse di torture dei detenuti, la loro pronta accettazione di “confessioni” coatte e la loro incapacità di contestare evidenti falsificazioni da parte di funzionari della Nsa sulle date di arresto dei detenuti nella documentazione ufficiale per coprire il loro uso di sparizione forzata indicano che le autorità giudiziarie dell’Egitto sono complici di queste gravi violazioni dei diritti umani. Le sparizioni forzate ora fanno parte di un sistema di repressione statale che concede agli ufficiali della Nsa e ad altri funzionari della sicurezza carta bianca nel violare i diritti umani, e di farlo impunemente. L’illegalità si estende ora ad un sistema giudiziario penale che non riesce a sostenere il diritto al giusto processo e si basa su “confessioni” ottenute con la tortura come base per la condanna degli imputati al processo, spesso con accuse inventate, e condannandoli a lunghe pene detentive o a morte.
Nell’agosto 2015, la Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), un gruppo per i diritti umani costituitosi un anno prima, ha lanciato la campagna “Stop alle sparizioni forzate” per mobilitare l’opinione pubblica egiziana e per attirare l’attenzione della comunità internazionale sul problema e per sostenere il diritto delle vittime a un ricorso effettivo. Le autorità hanno di conseguenza arrestato il dirigente dell’Ecrf e altre persone dello staff. Ad aprile 2016, alcune organizzazioni per i diritti umani egiziani hanno elencato i casi di oltre 1.000 vittime di sparizione segnalate in tutto il paese, escluso il nord del Sinai che è un’area praticamente chiusa per gli attiviste dei diritti umani. Inoltre, anche il Gruppo di lavoro delle Nazioni unite sulle sparizioni forzate o involontarie (Wgeid) ha espresso le sue preoccupazioni; nella sua relazione 2015 il Wgeid ha riportato 79 casi al governo egiziano tra maggio 2014 e maggio 2015 di quello che ha definito “un recente modello di sparizioni a breve termine”, ma il governo ha fornito solo risposte su sei casi, ognuno dei quali ha negato che fosse un caso di sparizione forzata. Non sorprende, dato questo sfondo di abusi ancora diffusi e la negazione da parte del governo, che il rapimento e l’omicidio del dottorando italiano Giulio Regeni nei primi mesi del 2016 abbia sollevato il sospetto che possa essere stato vittima di sparizione forzata e che sia morto sotto tortura durante la detenzione da parte di agenti dello Stato egiziano. La sua morte e le circostanze sospettose che la circondano hanno causato una protesta internazionale che chiede una accurata indagine che riveli la verità, identifichi i colpevoli e garantisca giustizia – richieste non ancora soddisfatte. Da parte loro, le autorità egiziane hanno ripetutamente negato che agenti dello Stato siano stati coinvolti nell’uccisione di Giulio Regeni, ma i loro mutevoli e contraddittori resoconti sono stati accolti con ampio scetticismo e hanno contribuito a create una seria frattura tra l’Italia e l’Egitto. Nel marzo 2016, il Parlamento europeo ha condannato l’uccisione di Giulio Regeni e ha espresso preoccupazione per il fatto che la sua uccisione abbia avuto luogo in un contesto di torture, morti in custodia e sparizioni forzate in Egitto.
La reazione internazionale
A parte l’Italia, però, la maggior parte dei paesi europei e altri governi che avevano accolto il successo della rivolta popolare nel 2011 sono stati riluttanti nel criticare il grave deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto. Con l’Egitto visto come un partner chiave nella lotta al terrorismo, il governo di Francia, Germania e Regno Unito (UK), così come la Russia e la Cina, hanno tutti ospitato il presidente al-Sisi in visite ufficiali negli ultimi due anni. Alcuni governi hanno inoltre fornito supporto diretto al governo egiziano, nonostante il deterioramento dei diritti umani. 12 Stati membri dell’Unione Europea (EU) e gli Stati Uniti d’America hanno trasferito in Egitto attrezzature di polizia e sicurezza, del tipo che sono state usate, e che si crede siano utilizzate, dalle forze di sicurezza in Egitto per commettere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani. Amnesty International chiede al presidente egiziano, Abd el-Fattah al-Sisi, di riconoscere e fermare il ricorso alle sparizioni forzate e alle torture, senza ulteriore ritardo. Dovrebbe istituire una commissione d’inchiesta indipendente per indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani e per assicurare i responsabili alla giustizia. Come primo passo, dovrebbe concedere immediatamente a tutti coloro che sono ancora detenuti in condizioni di sparizione forzata accesso alla loro famiglia e agli avvocati; e rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le persone detenute solo per aver esercitato pacificamente il proprio diritto alla libertà di espressione e di riunione.
Amnesty International richiede che tutti Stati facciano pressione sull’Egitto per porre fine alle sparizioni forzate, alle detenzioni arbitrarie e alle torture e altri maltrattamenti. In particolare, gli stati che hanno lunghi e continuativi legami commerciali, diplomatici o di altro tipo con l’Egitto, inclusi i paesi membri dell’EU e gli Stati Uniti d’America, dovrebbero guidare ogni forma di pressione nei confronti del governo egiziano affinché ponga fine a queste violazioni dei diritti umani, incluso bloccando ogni futuro trasferimento di attrezzature di sicurezza, di polizia e militari che potrebbero essere usate per commettere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani e la repressione interna fino a quando non saranno condotte indagini complete, immediate, imparziali e indipendenti e i responsabili assicurati alla giustizia.
A partire dal 2013 inoltre l’Egitto ha commesso orribili violazioni dei diritti umani ai danni di minorenni. Lo denunciamo in occasione della Giornata mondiale dell’infanzia.
Solo dal 2015, Amnesty International e il Fronte egiziano per i diritti umani hanno registrato almeno sei casi di tortura e 12 di sparizioni forzate nei confronti di persone di età inferiore ai 18 anni.
I familiari dei sei minorenni sottoposti a tortura hanno riferito che durante la prigionia i ragazzi sono stati picchiati brutalmente, colpiti con la corrente elettrica sugli organi genitali e su altre parti del corpo e appesi per gli arti.
In alcuni di questi casi, i minorenni sono stati torturati per costringerli a “confessare” reati che non avevano commesso.
Fonti:
https://www.amnesty.org/download/Documents/MDE1243682016ITALIAN.PDF